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Ritorno all’innocenza

Ritorno all’innocenzaHarrison Ford nel ruolo di Han Solo

Star Wars Dal primo magnifico volo del ragazzo di Modesto (California) che sovvertiva l’estetica dei modi di produzione dei film, alle due trilogie specchio dei tempi

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 19 dicembre 2015
“I film di Jean-Luc Godard non passano a Modesto”George Lucas

«L’unico consiglio che posso dare è di puntare su delle cose fuori dall’ordinario, sull’immaginazione. Altrimenti si rimane prigionieri della scatola. Provate a pensare cosa succede mettendo un cane enorme a bordo di un’astronave. Star Wars era pieno di cose ridicole che oggi sono normali. Le regole, i dogmi le ideologie sono una trappola. Il soggetto della maggior parte dei miei film è come uscire da quella trappola, dalla prigione del cervello», diceva George Lucas, circa un anno fa, in un dialogo con Robert Redford tenutosi al Sundance Film Festival.

È difficile immaginare quanto «fuori dalla scatola» fosse Star Wars quasi quarant’anni fa. Lucas ha definito apocrifo l’aneddoto (riportato anche nel libro sulla Nuova Hollywood Easy Riders, Raging Bulls) secondo cui, la prima volta che proiettò la sua saga spaziale per pochi amici, si fece dare del matto, tra gli altri, da Francis Coppola e Brian De Palma – solo Spielberg predisse che il suo film sarebbe stato un grande successo (e, sempre secondo la leggenda, scommettendo sui suoi incassi vinse una percentuale dei diritti pari a 40 milioni di dollari).

“Nell’estate del 1997 ho visto Star Wars 21 volte –quasi sempre da solo. Avevo 13 anni” Jonathan Lathem, New Yorker 17/6/ 2002

La Twentieth Century Fox, che aveva accettato di cofinanziarlo (dopo il no della United Artists e della Universal), era così preoccupata dalle sue prospettive finanziarie che cercò di imporre il booking di Star Wars come condizionale a quello di un altro loro titolo dei loro listini di quell’anno, L’altra faccia di mezzanotte, un soporifero adattamento da Sidney Sheldon.

Ma, nell’America sfibrata dal cocktail micidiale di Vietnam, Watergate, crisi energetica e dell’economia, e in una Hollywood altrettanto sfibrata da scommesse sbagliate su polpettoni indigeribili per i teen ager formati nel travaglio degli anni sessanta, il magnifico, arditissimo, volo dell’immaginazione di un ragazzino di Modesto, California, che sognava di fare il pittore, con quel suo manicheismo cromatico (il bianco e il nero) che era anche manicheismo morale (il bene e il male), attecchì come un incendio.

E il sottotitolo del suo primo Star Wars –A New Hope, una nuova speranza – aggiunto al titolo originale in uno dei tantissimi, affascinanti e controversi, ritocchi che Lucas – come il pittore di un quadro infinito – ha apportato alla Saga in tutti questi anni, rilette sia l’incipit della storia del film che lo spirito con cui travolse il pubblico dell’epoca.

«Il clima politico e culturale che il paese viveva negli anni sessanta/settanta trovava le sue incarnazioni più estreme, radicali, a San Francisco, cosa che andava benissimo a noi delle American Zoetrope. Perché era quello che desideravamo. Ed era parte della nostra identità: volevamo sovvertire lo status quo dell’estetica e dei modi di produzione dei film», ricorda Lucas nel libro George Lucas’ Blockbusting.

Il ragazzo di Modesto, che in breve sarebbe diventato uno degli uomini più potenti dell’industria del cinema americano, si poneva allora come una figura anti establishment, e lo è rimasto fino ad oggi.

Eletto nel 1980, l’anno di uscita di L’impero colpisce ancora, diretto da Irving Kershener, Ronald Reagan cercò di appropriarsi, nel 1983 (anno di uscita di Il ritorno dello Jedi, diretto da Richard Marquand), del titolo e dell’elan epico della saga, soprannominando «Star Wars» la sua Strategic Defense Initiative, lo scudo spaziale da opporre ai missili nucleari di Mosca.

Ma la Forza mitopoietica dell’universo della fantasia creato da Lucas, con la sua inesauribile invenzione visiva, la sua inclusività totale, i suoi fuori legge, mostri, cavalieri erranti, saggi miracolosi nascosti nella foresta e l’intrepida fede nella ricerca tecnologica (una delle cifre estetiche più marcate dell’opera di Lucas) non potevano essere addomesticati dal reaganismo.

Il loro era un Dna completamente opposto. Infatti, con gli anni, quella dicotomia tra bene e male, tra bianco e nero, che all’inizio della Saga sembrava così semplice, chiara, e che Reagan aveva creduto di poter assimilare, si è rivelata molto, molto più complessa.

Come la prima trilogia, anche la seconda (che corrisponde cronologicamente ai primi tre film della storia) è un riflesso dei tempi.

Se Episode One, The Phantom Menace, uscito nel 1999, al crepuscolo della presidenza Clinton, in un momento di benessere economico, è soprattutto un tuffo nella meravigliosa scoperta dell’animazione digitale (95% delle inquadrature sono cgi – invece dell’ abito candido e sempre identico della principessa Leia, la regina Amidala indossa una serie di elaboratissimi abiti regali accompagnati da altrettanto elaborate acconciature. Invece del semplice duello alla Errol Flynn del finale, le sequenze clou di Episode 1 sono la fantastica, barocca, corsa tra pods come le bighe di Ben Hur ma anche le sfasciatissime macchine di Cannonball Run), condita di un po’ mal riposta commedia, incarnata nella detestata figura di Jar Jar Binks, Episode II, Attack e of the Clones (2002) è già toccato dai fatti dall’11 settembre e dalla svolta politica arrivata con la controversa, molto poco democratica elezione di George W. Bush –la Forza inizia a colorarsi d nero.

Clones è il preludio dell’Apocalisse che sarà Revenge of the Sith. L’ultimo episodio della seconda trilogia, diretto come i due che lo hanno preceduto da Lucas, è un kolossal che sfiora ormai il cinema astratto, uno dei più belli e politici di tutta la Saga, e un film di cupezza straordinaria che riflette –letteralmente- sull’America del Patriot Act in una scena in cui il Senato gioisce dopo aver votato il Nuovo ordine del primo impero galattico e aver così ceduto a un dittatore senza scrupoli –in nome della sicurezza- i principi più fondamentali della democrazia.

The Force Awakens sembra aver cancellato con un colpo di spugna il dato politico che Lucas aveva portato alla seconda trilogia, a favore di un ritorno all’«innocenza» e al tono ludico delle origini. Il che lo fa sembrare non tanto anacronistico e quanto meno necessario.

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