Sessanta giorni per sgomberare Frigolandia: sono questi i tempi dati dal Comune di Giano dell’Umbria alla Città dell’Arte Maivista lo scorso 11 marzo. In piena emergenza Covid-19, il giorno dopo il governo Conte 2 ci chiudeva tutti in casa. Qui la casa è qualcosa di più: è un luogo abbracciato dal verde delle campagne umbre, da viti e oliveti, colline da percorrere fino ad arrivare a un piccolo spiazzo di ghiaia. Sopra il cancello la scritta colorata «Frigolandia» è la porta su un mondo fantastico.

È l’immaginaria città pensata da Andrea Pazienza e Vincenzo Sparagna nel 1985, un’utopia diventata reale vent’anni dopo, nel 2005. Qui, dopo lunghi lavori di ristrutturazione di tre edifici una volta utilizzati come villaggio vacanze, un gruppo di volontari ha plasmato le idee partorite, cresciute, trasformatesi dentro le esperienze delle riviste di satira italiane post-1977. Il Male, Frigidaire, Vomito, Cannibale, per citarne qualcuna.

Nell’edificio principale è ospitato il Museo e la redazione del Nuovo Male e di Frigidaire, oltre 500 opere di innumerevoli artisti e più di 3mila tavole, insieme ai numeri delle riviste, a disegni, sculture. Vincenzo ci accoglie con un caffè: «La battaglia dell’amministrazione comunale non inizia oggi – ci dice – ma più di dieci anni fa. Nel 2008 bloccammo uno sfratto esecutivo appena due giorni prima della scadenza. Le raccomandate che lo notificavano erano state tutte spedite a un indirizzo sbagliato. Quando lo abbiamo saputo abbiamo pagato subito i 6mila euro del canone annuale e siamo andati a processo. Quattro anni dopo la corte ci ha dato ragione e ha ordinato al Comune di Giano di pagare le spese legali».

In mano Frigolandia ha un contratto di durata decennale, rinnovabile in automatico per tre volte – nel 2015, nel 2025 e nel 2035 – e rescindibile solo dalla Città dell’Arte Maivista. Lo firmarono nel 2005 con un’amministrazione all’epoca entusiasta del progetto che mise a disposizione la struttura, dopo un bando di assegnamento andato deserto. Appena ottenuto quello spazio si iniziò a lavorare duro, a ripulire il parco dalle pietre, a cancellare dai muri messaggi di oscenità varie ed eventuali e pure qualche svastica. Era abbandonato da quattro anni, l’ultima ad averci lavorato era stata una cooperativa di trekking, era durata pochi mesi.

«Nel 2015 il Comune ci ha inviato una lettera dove affermava che il contratto era scaduto – continua Vincenzo mentre versa il caffè, alle spalle un grande camino e pareti traboccanti di quadri – Rispondiamo che il contratto è automaticamente rinnovato, non replicano. Identica cosa l’anno successivo e quello dopo ancora. Fino all’11 marzo 2020: notificano un’ordinanza di sfratto entro 60 giorni». La giustificazione che dà l’amministrazione comunale, nel frattempo passata in mano alla Lega dopo anni di liste civiche di centrosinistra, è una decisione del Consiglio di Stato: recepisce una direttiva europea che vieta il ricorso a contratti rinnovabili in automatico per gli stabilimenti balneari.

«Il Comune pensa di applicarla al nostro caso retroattivamente. Se il Tar non accettasse il nostro ricorso, si aprirebbe una causa civile. Ma nel frattempo dovremmo sgomberare una montagna di materiale, un archivio che abbiamo impiegato anni a portare qui e a organizzare. Decine di tonnellate di materiale».
Ci spostiamo nella stanza dedicata al lavoro della redazione, due grandi scrivanie circondate da scaffali pieni di libri, numeri del Male e di Frigidarie, le ultime uscite, i disegni di Sparagna, di Pazienza, Tamburini, Mattioli. Sul tavolo l’ultimo lavoro di Vincenzo, un libro che raccoglie le opere pittoriche del padre visionario Cristoforo. Il racconto prosegue, dal 1977 a questi mesi, le tante anime transitate per un’esperienza unica che ha attirato lettori da tutta Italia e dal mondo e che li ha portati qui, a lasciare il loro nome nel registro dei visitatori o a chiedere – e ottenere – il passaporto della Repubblica di Frigolandia, «una libera unione di uomini, donne, bambini, animali, piante e minerali fondata sulla fantasia», recita la sua costituzione.

Fuori un grande parco aperto a tutti, due ettari di querce, faggi, cipressi, tigli. Due ciliegi piantati da Vincenzo. Un recinto per le galline, dove sono finiti anche germani e papere («Le uova non le fanno ma ci siamo affezionati»), ribattezzato «Il rifugio di Icaro». Un parco giochi per i bambini. E poi due casette di un solo piano dove vengono ospitati i cittadini di Frigolandia di passaggio: la Casa degli Oblò e la Casa Rosada. Dentro ci sono stanze riscaldate da stufe a legna, ognuna con il nome di un colore e ognuna dedicata a un’arte precisa: c’è quella con le opere di Andrea Pazienza e quella con i volti dei grandi della letteratura, da Franz Kafka a Jack London.

A lui e alla sua capanna da cercatore d’oro nel Klondike si era ispirato Luciano Biscarini, l’artista autore degli arredi di Frigolandia, per costruire all’esterno la Jack London’s Hut: una capanna di legno che avrebbe dovuto ospitare il Museo Nomade della Letteratura d’Avventura. «Il Comune ce l’ha fatta demolire. Per contratto possiamo costruire su questa terra piccole strutture, la capanna era ampia 12 metri quadrati. Ci hanno mandato i carabinieri, hanno messo i sigilli. Alla fine ci hanno detto che, sì, per contratto potevamo costruirla ma dovevamo chiedere prima il permesso. Per cui hanno suggerito di abbatterla e poi rifarla. L’abbiamo abbattuta e il legno è stato utilizzato per il Teatro Naturale di Oklahoma».

Quello c’è ancora, anche questo immaginato e realizzato da Biscarini. Un palco di legno ispirato all’ultimo capitolo di America di Franz Kafka («Incredibile il modo in cui descrive l’America di allora, e dire che non l’aveva mai vista»): Karl Rossman sta passeggiando a New York quando a un angolo di strada un gruppo di persone lo invita al Teatro di Oklahoma.

Un mondo della fantasia che però è reale, tangibile, che ha permesso a un pezzo di storia editoriale italiana di giungere alla sua quarta generazione di artisti, fumettisti, autori, accogliendoli in uno spazio che prima che essere un museo e un’esaltazione del passato è luogo di dibattito del presente. E del futuro. «Qui lavorano decine di persone, la Repubblica è arrivata a distribuire 600 passaporti – continua Vincenzo – Abbiamo un migliaio di visitatori l’anno. E ogni anno organizziamo tre feste: il 25 aprile la Liberazione dei Frigoriferi intelligenti, il 14 luglio la Rivoluzione per la presa della Bastiglia e a fine novembre il Ringraziamento, ma quello vero, con i fagioli e non i tacchini».

I sessanta giorni dati dal Comune per lo sgombero sono stati rivisti, a causa dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19. Prima a fine agosto, poi a fine ottobre. Frigolandia resiste: sta raccogliendo firme su Change.org, incontra giornalisti e tv. «Vogliono solo cacciarci, ci provano da tanti anni. Per motivi speculativi, per farci forse un villaggio camping. La verità è che non gli piacciamo. Nel febbraio 2007 ci fu una campagna incredibile contro di noi da parte della destra perché Oreste Scalzone aveva fatto qui la sua prima conferenza stampa, c’era anche il sindaco di Giano, foto, strette di mano. Poi scrissero sui manifesti «Hanno vinto le Br». Da ridere. Negli anni Settanta e Ottanta Scalzone era stato accusato, come Toni Negri, di essere il capo delle Brigate Rosse, da lì nacque la famosa prima pagina con l’arresto di Tognazzi».

E pensare che per l’archivio di Frigolandia, per i numeri del Male e di Frigidaire, la biblioteca dell’Università di Yale nel 2017 ha pagato 200mila euro. Venne qui il direttore, Kevin Rapp, si fermò quasi una settimana. La mattina faceva colazione con Vincenzo, poi passava le giornate immerso tra le riviste. Lampante il cosmopolitismo di quell’esperienza su ogni piano, narrativo, politico, culturale: «Abbiamo pubblicato in anteprima Cronaca di una morta annunciata di Marquez. E poi Joyce, Borges, reportage dalla Cina, dall’India, dall’America latina, inchieste sui fascisti in Paraguay e sull’omicidio Siani. Dossier sull’ndrangheta e sull’Aids, i primi in Europa. Ci sono qui i carteggi con lettori e compagni, con Rossanda, Curcio, Terracini, inediti degli anni Settanta. Yale l’ha pagato 200mila euro per averlo nei suoi archivi. Giano ci vuole sfrattare».

L’incontro
Stare ad ascoltare Vincenzo Sparagna è un viaggio in un’epoca solo apparentemente lontana. Visionaria, colorata, eclettica, concretamente rivoluzionaria. Lo dicono i colori che circondano le pareti del Museo dell’Arte Maivista a Frigolandia e le pagine delle riviste accatastate una sull’altra, ognuna un’opera a sé, una piccola preziosa illustrazione da guardare e riguardare, deciderne il significato che si sente proprio.

Lo dicono le prime pagine fattesi quadro su una parete del Museo, quelle dei grandi falsi del Male, da Ugo Tognazzi capo delle Br al Papa papà. E poi le illustrazioni preveggenti, come quella appesa in un angolo della redazione: un quadro di Stefano Tamburini realizzato a collage, un volto di donna con i capelli arancioni sparati verso un cielo verde scuro che guarda le torri gemelle di New York sotto uno spicchio di luna. O il caffè di Atene visto da Diamantis Aidinis, con i suoi personaggi in grigio, che sormonta con un’atmosfera da jazz club la scrivania di Vincenzo, giornalista, scrittore, illustratore.

Dopotutto è questo il significato di quel Maivisto che Pazienza e Sparagna si immaginarono 35 anni fa. Il manifesto originale accompagna dentro quella visione: «L’Arte Maivista è quell’arte imprevista, multipla, alta, bassa, media, pop e anti-pop, inventata e pubblicata dal 1977 in poi dalle riviste «certificate maiviste» come Frigidaire, Cannibale, Il Male, Frìzzer, Vomito, Tempi Supplementari, Il Lunedì della Repubblica, il Nuovo Male, la Piccola Unità».

Una forma radicalmente nuova di comunicazione, figlia del movimento del ’77 e capace di stupire, sdegnare, far immaginare, oscena per i tempi che seguivano gli anni di piombo e la strategia della tensione. «All’epoca su Frìzzer io facevo il direttore, firmavo gli editoriali dr. Frìzzer – ci racconta Sparagna – e Andrea faceva l’imprinter, così diceva lui, perché dava l’imprinting. Come il Vaticano. Era una rivista satirica molto divertente. Lì ho pubblicato miei disegni mai visti, appunto. Partivamo da una doppia idea: qualsiasi arte, anche classica, trasmette anche a distanza, troverai sempre qualcosa che prima non avevi colto. Come diceva Marx, l’arte attraversa i millenni e non è importante capirne le origini sociali ma il motivo per cui parla ancora alla nostra anima dopo aver attraversato tutte le visioni possibili. E poi c’è l’altra idea, scherzosa: pubblicare artisti sconosciuti, fumettisti, illustratori, percorsi che generalmente non sono considerati degni di una galleria o del mercato dell’arte».

Identica l’idea che sorreggeva Vomito, prima rivista di sub letteratura: racconti inviati alla redazione da sconosciuti, una letteratura che ufficialmente non era tale ma che invece lo era già, fatta dal chiunque, il qualsiasi. Furono pubblicati oltre 400 racconti, impreziositi dai disegni di Sparagna e, nelle ultime pagine di ogni numero, dalle foto e le auto-presentazioni degli sconosciuti autori, piccoli gioielli di narrazioni di sé che del paese dicevano più di un’inchiesta.

Dentro le storiche pubblicazioni satiriche alle prime generazioni di autori come Tamburini, Filippo Scorrazi, Massimo Mattioli, Tanino Liberatore, Ugo Delucchi, sono seguite la terza e la quarta: oggi gli autori sono giovanissimi, nati dopo la prima uscita in edicola del Male, nel 1980, ma che «sentono la necessità di trovare degli antenati nelle loro esigenze di realtà».

Anima della rivista Frigidaire e del mensile Il Nuovo Male è la disegnatrice e grafica Maila Navarra. Coordina le pubblicazioni, sue alcune delle illustrazioni che arricchiscono le pareti della redazione e suo tanto del lavoro che permette ai giovani di portare avanti, in continua mutazione e crescita, prodotti storici ma mai fissi nel tempo.

Il Male fu una delle riviste nate dall’esperienza travolgente che fu il ’77, divenute un vero e proprio modello di sperimentazione culturale e politica, di rifiuto dell’ufficialità dominante nell’arte e nel pensiero, e dunque nella loro narrazione («Volevamo un’arte che fosse allo stesso tempo d’élite e popolare, nettezza del linguaggio e del concetto e onestà del dire»).

«Il Male nasce dentro il movimento del 1977 – continua Sparagna – Una grande spinta al rinnovamento e alla ribellione, anche artistica. Il ’77 ha rotto due argini ideologici: quello della storia del movimento comunista che faceva suoi schemi superati e che mancava di una necessaria critica del marxismo, approccio dominante dei movimenti operaisti; e quello delle avanguardie storiche che sono state l’accompagnamento estetico del capitalismo del Novecento, penso al futurismo, un’arte che camminava in parallelo con gli sviluppi sociali del capitalismo».

Una doppia rottura che si travasa in una liberazione vera e propria di cui la satira, come intesa dal Male, esplode nella sua straordinaria originalità e nel suo necessario stupore. E poi Frigidaire, prodotto diretto della presa di coscienza di quella duplice rottura: lo strumento con cui liberare gli spazi della narrativa, della cronaca, del reportage, pensato – dice Vincenzo – «come spettacolo di colori, il dispiegarsi dell’arte nuova».

Quegli anni ricchissimi sono stati anni a cercar soldi per sorreggere il progetto, per lavorare gratis, dice Vincenzo e si fa una risata. A giorni uscirà un libro, L’avventura di Frigidaire, con le impressioni e i rapporti con la rivista di 44 autori, da Nicola Lagioia a Cicciolina, da Toni Contiero a Giuseppe Palumbo. Una storia plurima che è il filo conduttore di un percorso di generazioni, gli anziani più radicali rimasti e i giovani. «Frigidaire era tutto, tranne che omogeneo dal punto di vista del pensiero – racconta ancora Vincenzo – Ci definiamo comunauti, viaggiatori alla ricerca, che superano la definizione di comunista. A quel progetto ognuno partecipò a modo suo».

Nel 2010 un altro passaggio, Frigidaire esce come inserto mensile di Liberazione. Quattro pagine per un anno. Poi torna in edicola da solo, a 12 o 24 pagine, sforzo editoriale enorme con una tiratura di 40mila copie. La crisi delle edicole e i costi hanno costretto a un passo indietro ma le pubblicazioni non sono cessate: oggi è stampato per gli abbonati, numeri aperiodici a cui si aggiungono quelli de Il Nuovo Male ripartito nel 2011.

«Il giornale satirico ha bisogno di un’anima, di empatia con chi lo legge, altrimenti è una mera raccolta di fumetti. La sostanza del Male non erano le vignette, ma le idee, l’attacco costante alla cultura dominante, alla pratica dei costumi egemoni». Lo è ancora, lo dice Frigolandia, «nave corsara che sfida l’oceano del conformismo, prima repubblica marinara di montagna». Lo è ancora ed è bellissimo.

 

Link alla raccolta firme.