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Ritorno a Castel del Monte

Abruzzo Un paesino a 1.400 metri sul Gran Sasso è rinato dopo il terremoto. Grazie all’orgoglio dei cittadini e ai nuovi arrivi dall’Aquila

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 29 agosto 2019

In Abruzzo, dove il versante del Gran Sasso degrada oltre i pascoli di Campo Imperatore, a 1400 metri di altezza c’è Castel del Monte, un borgo in pietra che sembra costruito nella terra di mezzo di Tolkien, in quell’universo immaginario descritto nella famosa trilogia. La vita e le occupazioni dei suoi 400 abitanti qui hanno il ritmo di una antica contea, dove i luoghi e i ritmi mutano ancora al cambiare delle stagioni.

PER SECOLI QUESTO TERRITORIO dell’Appennino è stato tra i più importanti per l’industria della lana e l’allevamento delle pecore: punto di arrivo del «Tratturo Magno», la pista di 244 km che dal tavoliere delle Puglie conduceva fino a L’Aquila e Campo Imperatore. Ogni profilo di questo insolito altipiano carsico di quota è modificato dal transito secolare di milioni di pecore e trasmette immediate analogie con lontane e selvagge steppe asiatiche. Dall’alto medioevo e fino all’unità d’Italia da qui sono passate migliaia di greggi, condotte da una società transumante fatta di pastori, apprendisti, guardiani, muli e asini. Il commercio della lana resta l’economia trainante della regione fino al 1800, quando sul Gran Sasso pascolavano ancora più di un milione di pecore. Con l’importazione di tessuti dall’America e Australia e la concessione, con l’unità d’Italia, di terre da coltivare lungo i tratturi, il numero delle greggi transumanti diminuisce e con loro crolla l’econoia legata a questa antica comunità nomade. All’inizio del secolo scorso qui vivono ancora 3000 persone. Con l’emigrazione verso i poli industriali di Francia e Belgio del dopoguerra inizia il suo spopolamento, fino ad arrivare agli attuali 431 residenti. Il pascolo delle pecore, condotto a carattere residenziale e privo degli spostamenti stagionali fuori regione, è ancora svolto da otto allevatori, ultimi custodi della secolare tradizione di questo borgo.

L’EVENTO SISMICO CHE LA NOTTE del 6 aprile di 10 anni fa a meno di 40 km colpisce in profondità la città dell’Aquila, a Castel del Monte lesiona solo in parte il centro storico ma ha conseguenze sulla sua economia fondata sulla vendita di prodotti locali e nell’accoglienza turistica. A fronte di questo, nei mesi successivi il terremoto avviene l’arrivo di molti castellani residenti a L’Aquila per l’inagibilità della propria abitazione. Il paese si rianima con una nuova comunità che porta un vitale supporto alla piccola economia del borgo. Luciano Mucciante è il sindaco di Castel del Monte e ha vissuto in prima persona l’emergenza sismica. «Il disagio seguito dal terremoto ha fatto riemergere in molti un antico orgoglio castellano che sembrava smarrito. Grazie ai nuovi fondi per la ricostruzione e l’imprenditioralità, molti giovani che abitavano in città sono tornati a Castel del Monte». Il segnale principale di questa ripresa arriva dalla riapertura dell’asilo comunale che ospita adesso 20 bambini nati dalle coppie che hanno deciso di investire tempo e speranze in questo borgo all’ombra del Gran Sasso.

SARA AROMATARIO, 20 ANNI, è l’imprenditrice più giovane del paese e certamente la più audace. Terminato il liceo è entrata come protagonista nel tessuto produttivo del paese cominciando, è il caso di dire «di sana pianta», la prima coltivazione di luppolo di Castel del Monte e tra le poche dell’Appennino. «È tutto frutto della mia immaginazione; volevo realizzare un prodotto originale con ingredienti locali, e la birra così in alto non l’aveva davvero prodotta nessuno», spiega . L’esclusiva coltivazione di Sara è partita da otto piante comprate su internet e poi avviata grazie a consigli raccolti un po’ ovunque. Utilizzando l’orzo prodotto in paese e sperimentando l’utilizzo della solina, un grano tenero locale che cresce fino a 1400 metri, è iniziata da un anno la produzione della prima birra made in Castel del Monte. «L’ho chiamata Mappavel’s, dal nome dialettale della mia famiglia. La nostre storia si continua anche così» aggiunge soddisfatta. In centro storico, all’ombra di una gru e di alcuni ponteggi c’è il negozio di Rosetta Germano. La sua è una delle l’ultime famiglie transumanti del paese, e da quando è scomparso il padre è lei che si occupa di una azienda di circa 200 tra pecore e capre. Con una laurea in economia e commercio in tasca ha voluto diversificare la sua attività, ma sempre con uno sguardo alla tradizione. «La lana proveniente dalla tosatura annuale delle nostre pecore è diventato un prodotto quasi di scarto, acquistato dai conferitori a un prezzo che non copre nemmeno le spese per ottenerla. Nel 2009 ci veniva riconosciuto un prezzo di soli 30 centesimi per kg – dice Rosetta – ma grazie ad un progetto finanziato dal parco nazionale del Gran Sasso, dieci anni fa, ho iniziato a selezionare e filare separatamente la mia lana, per poi tingerla con prodotti naturali». Mostra le sue creazioni: alcuni cappelli e sciarpe colorate con melograno, cipolla e luppolo (di Sara) e realizzate con i ferri da maglia, «per passare il tempo mentre pascolo le capre», afferma sorridendo. Ha anche tessuto la particolare fascia tricolore indossata dal sindaco di Castel del Monte in occasione della 60a rassegna degli ovini di Campo Imperatore del 7 agosto.

UN RITORNO ALLE TRADIZIONI È ANCHE quello di Marco, 33 anni, figlio dell’unico fornaio del paese che sforna pane e biscotti ininterrottamente dal 1989. Dopo un’esperienza di carriera nell’esercito e aver vinto un concorso in polizia, Marco è rientrato nel 2011 a Castel del Monte: «Ho deciso di tornare in questo forno perché sento di poter aiutare la crescita del paese e realizzare le mie idee. Stiamo sperimentando una linea di panificazione e di dolci con il grano di solina seminato tra queste montagne e che letteralmente vedo crescere ogni mattina che esco per consegnare il pane. E da qualche hanno spedisco i miei prodotti anche all’estero grazie all’e-commerce».

ALESSANDRO PELINI È UN GIOVANE allevatore che piuttosto di demotivarsi per il calo delle vendite dei suoi agnelli e formaggi, all’alba del terremoto ha deciso di ampliare l’attività. «Erano anni che noi piccoli allevatori stavamo perdendo terreno a causa delle importazioni di carne a basso costo ottenuti in allevamenti intensivi. L’ulteriore diminuzione delle vendite nel post terremoto mi ha convinto a lanciarmi in una nuova idea: peggio di chiudere e andar via non mi poteva succedere». Ha iniziato nel 2010 un piccolo allevamento di maiale nero abruzzese, una razza quasi scomparsa in regione e che in passato era l’unico suino utilizzato tra queste montagne. In un recinto di un paio di ettari poco distante dalle sue pecore si muove adesso un branco di questi maiali. «Certamente non sono animali che raggiungono grandi dimensioni e non sono prolifici come altri, ma sopportano bene la vita all’aperto e nella neve». Nel 2017 si è arrivati a costituire il consorzio del maiale nero d’Abruzzo e adesso Alessandro gestisce, insieme alla moglie Marinella, un fornito punto vendita dei suoi esclusivi salumi trasformati in proprio e di altri prodotti dei piccoli imprenditori del Gran Sasso.

L’ULTIMO GIOVANE A DIVENTARE imprenditore a Castel del Monte è Mario Pallante, che dopo aver lavorato per un decennio fuori dal paese, tre anni fa ha deciso di tornare «alla montagna», ristrutturando lo storico stazzo di famiglia dove adesso pascola le sue pecore. Quella di Mario è l’unica nuova azienda zootecnica aperta dai giorni del terremoto. «La vita da pastore è difficile, ma forse lo è ancor più lavorare lontano dalla montagna in cui sono nato» dice, mostrando con orgoglio le foto di suo padre durante una delle ultime transumanze dalla Puglia. Mi fa anche vedere un vecchio registro vendita in cui nel 1993 l’agnello era pagato 7500 lire al kg per arrivare, 10 anni fa, ai 3.50 euro al kg e alla chiusura dei conti dell’azienda di famiglia. Mario ha 250 pecore e una decina di cani, che osserva con occhi soddisfatti mentre sorvegliano il gregge. E il lupo? «Lo vedo spesso, e capita anche che si avvicini alle mie pecore. Ma sono animali che rispetto e che tra queste montagne hanno sempre vissuto. E io sono solo l’ultimo arrivato tra queste montagne».

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