«Ritorni critici», la cultura è una pratica indisciplinata
Saggi Per Meltemi, il volume a più voci di percorsi di ricerca e studi postcoloniali
Saggi Per Meltemi, il volume a più voci di percorsi di ricerca e studi postcoloniali
Ritorni critici. La sfida degli studi culturali e postcoloniali (Meltemi, pp. 245, euro 20) è un volume collettaneo – a cura di Iain Chambers, Lidia Curti e Michaela Quadraro – che raccoglie venti testi relativi a percorsi di ricerca interni al dottorato di «Studi culturali e postcoloniali del mondo anglofono» dell’Orientale di Napoli. La conclusione di questa esperienza è stata decretata dalle «logiche» che governano il mondo dell’università, ossia dai tagli e dall’imperativo che monetarizza il sapere in base alla sua spendibilità sul «mercato» del lavoro.
IL LIBRO CUCE INSIEME gli interventi di un convegno finale ed è suddiviso in tre sezioni. La prefazione, siglata da Chambers e Quadraro intende i percorsi di ricerca come «domande non autorizzate» che interrogano la continuità della storiografia, la riproduzione dei saperi e le relative genealogie di potere. Fratture e discontinuità: l’urto con la modernità occidentale, di un’organizzazione dello spazio-tempo lineare, omogenea e coerente è rimessa in discussione da voci che perlustrano la condizione postcoloniale.
IL SAGGIO DI CHAMBERS che apre la prima sezione verte sul ruolo degli studi culturali. «Bisognerebbe far emergere la distinzione tra il concetto disciplinato di storia, come pratica di narrare e spiegare il passato, e quello più indisciplinato di archivio», chiarisce l’autore. La cultura intesa come configurazione mobile di pratiche sociale può mostrare la sua complessità storica attraverso il posizionamento dei soggetti e le prospettive transdisciplinari. In tal senso, la linearità storica «va deviata, sovvertita, fatta a pezzi»: è nel piegamento dello spazio-tempo che storie e vite, prima lontane, diventano prossime e connesse. Lidia Curti analizza l’intersezionalità come pratica femminista capace di mostrare la multidimensionalità dei soggetti marginalizzati.
Il decentramento dalla differenza alle differenze è supportato dalle riflessioni di Crenshaw, Lodre, Anzaldúa, Moraga, Butler, de Lauretis, Haraway, tra le altre voci. Nel paragrafo dedicato al «soggetto migrante e l’ambivalenza della soggettivazione», lo sradicamento è considerato l’elemento costitutivo dell’eterogeneità anche per il contesto italiano, con riferimenti ai testi di Ali Farah, Ghermandi e Scego. Il contributo di Alessandra De Angelis interroga, invece, l’archivio psicoanalitico partendo dalle opere di Hiller, Bourgeois e Siopis dedicate all’esperienza del confine, esposte al Freud Museum di Londra. Un altro percorso ancora è imboccato da Manuela Esposito che interroga la diaspora femminile contemporanea attraverso le scritture di Levy e Otsuka, l’arte di Kempadoo e De Andrade.
MARINO INDAGA la relazione tra canto e rabbia a partire da una riflessione teorica, da Charlotte Brönte a Toni Morrison. Celeste Ianniciello guarda al lavoro di artiste come Mona Hatoum e Bouchra Khalili che mettono in crisi la geografia liscia dell’Europa, mentre Marta Cariello studia la produzione discorsiva dei luoghi dell’immaginazione (e della rivoluzione) nei movimenti di protesta esplosi in Nord Africa e Medioriente nel 2010-2011.
La seconda sezione «Scritture, corpi e archivi» raccoglie gli interventi di Silvana Carotenuto su scrittura e sua condivisione, a partire dai testi postcoloniali e transnazionali di Nnedi Okorafor, Chimamanda Ngozi Adichie e Shailja Patel; di Annalisa Piccirillo sul progetto di un archivio come deposito immaginifico fondato dall’inventiva delle donne, il matri-archivio aperto alla danza. Elena Intorcia approfondisce il tema della letteratura in lingua dei segni, mentre Marina Vitale riflette sulla figura di Stuart Hall. Il sentiero battuto da Jane Wilkinson porta il lettore al cospetto di figure caotiche che rovesciano l’ordine della Storia. La scrittura di Emanuela Maltese racconta la ricerca sulla schiavitù a Praga.
SUONI, PRATICHE e digitale è l’ultima sezione aperta da un testo (auto)biografico di Antonia Anna Ferrante e Roberto Terracciano sul rapporto tra queer, corpo e femminismo transnazionale. Tra cartografie critiche del suono in Europa e street art nella East London si arriva alla fine del volume con Tiziana Terranova sulle tecnoculture negli studi culturali e postcoloniali, Roberta Colavecchio (ripensamento del concetto di ecologia a partire dall’arte e dai nuovi media) e Brian D’Aquino (dub come linguaggio della liberazione nera.
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