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Ritardo AstraZeneca, piano a rischio. Altro che no Vax

Ritardo AstraZeneca, piano a rischio. Altro che no VaxSala vaccini del Policlinico Tor Vergata di Roma – LaPresse

Il dibattito politico verte intorno all’obbligo vaccinale, ma per ora il problema vero è che mancano le dosi. E i tempi si allungano. Risalgono i decessi (659) e i ricoveri in terapia intensiva (256). Il Veneto tocca il record

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 30 dicembre 2020

Nell’ultimo bollettino comunicato dalla protezione civile, i nuovi decessi per Covid-19 in Italia sono stati 659. I nuovi casi positivi sono risaliti a quota 11 mila, ma i 128 mila tamponi effettuati fanno scendere il tasso di positività all’8,7%.

Il rapporto tra i casi positivi e i casi testati, escludendo i tamponi ripetuti per controlli e screening, sfiora il 25%: significa che, tra le persone che si sottopongono al tampone per un sospetto o per un contatto con un infettato, una su quattro risulta positiva. I nuovi ingressi in terapia intensiva sono stati 256, il numero più elevato da quando la protezione civile ha iniziato a comunicare anche questo dato. In Veneto i decessi (191) e i pazienti in terapia intensiva (366) hanno toccato record mai raggiunti nemmeno durante la prima ondata.

A parziale consolazione, sul peggioramento dei dati di ieri potrebbero aver pesato i giorni di Natale e il weekend successivo, durante i quali l’attività diagnostica e le notifiche aveva fisiologicamente rallentato, determinando un successivo “conguaglio” nei dati odierni. Come nel bollettino della regione Liguria: sui 15 decessi comunicati ieri, solo 4 si riferiscono alle ultime 24 ore. Gli altri risalgono a decessi avvenuti fino al 12 novembre.

RIMANE VALIDO il suggerimento a non abbassare la guardia sull’onda dell’euforia dell’inizio delle vaccinazioni. Anche perché le dosi a disposizione del governo, almeno per i primi tempi, sembrano ridursi. Il maltempo ha costretto la Pfizer a rivedere il calendario delle forniture, facendo slittare a oggi e domani le consegne previste inizialmente ieri. Ma se Pfizer allunga i tempi solo di qualche giorno, è AstraZeneca a mettere seriamente a rischio i piani del ministero della Salute.

La società farmaceutica britannica dovrebbe fornire la maggior parte dei vaccini del primo trimestre (16 milioni di dosi su 28 nel nostro Paese) con cui il ministro Speranza conta di immunizzare tredici milioni di italiani entro marzo. I tempi di approvazione del vaccino AstraZeneca però si dilatano. I dati forniti da AstraZeneca all’Agenzia Europea del Farmaco «non sono sufficienti per l’autorizzazione al commercio», ha detto Noël Wathion, numero due dell’Agenzia al tabloid olandese Het Nieuwsblad, confermando i dubbi anticipati ieri dal manifesto. «Servono dati ulteriori sulla qualità del vaccino, e la società non ha ancora presentato una domanda formale».

PARADOSSALMENTE, mentre il governo fatica a recuperare il numero di vaccini previsto, in Italia il dibattito ruota intorno alla riluttanza (presunta) nei confronti della vaccinazione. La ministra delle infrastrutture Paola De Micheli ha rilanciato la possibilità dell’obbligo vaccinale: «Abbiamo il dovere di fare delle scelte collettive e le prenderemo alla luce di come andrà questa campagna di informazione», ha detto ieri. «Alla fine non escludo la obbligatorietà». Anche la collega Bellanova, intervistata da La7, ha invitato a considerare un provvedimento del genere «per le categorie più esposte».

Ma per trasformare il vaccino in un trattamento sanitario obbligatorio è necessaria una legge, come stabilisce la Costituzione all’articolo 32. L’ipotesi non è da escludere, secondo il coordinatore del Cts Agostino Miozzo: «Se a lungo termine la volontarietà diventerà un problema, a quel punto il Parlamento dovrà riflettere». «Un trattamento sanitario obbligatorio deve rappresentare assolutamente un’eccezione, mentre in questa prima fase è fondamentale incentivare la propaganda a favore delle vaccinazione», sostiene al contrario il presidente del Comitato nazionale di bioetica Lorenzo D’Avack.

LA FAKE NEWS di una scarsa adesione alle campagne vaccinali da parte di medici e infermieri era stata inizialmente diffusa dall’infettivologo Matteo Bassetti: «Se arriviamo al 50% è da stappare delle bottiglie», aveva dichiarato alla Rai. In passato, in effetti, alle vaccinazioni anti-influenzale si era sottoposto circa il 30% dei medici.

Ma si tratta di un caso specifico che non implica un atteggiamento no-vax predominante. «Tra i medici sono diffusi alcuni pregiudizi derivanti da eventi passati, come l’aumentata incidenza di casi della paralisi di Guillain-Barré dopo le vaccinazioni contro l’influenza suina del 1976-77», spiega al manifesto Roberta Villa, autrice nel 2019 di Vaccini. Il diritto di (non) avere paura edito da Il Pensiero Scientifico. «Ma in realtà la maggior parte dei medici non si vaccina perché quello contro l’influenza ha una bassa efficacia. L’anno scorso è stata inferiore al 40%». Per ora i numeri le danno ragione: tra i medici le percentuali di adesione alla campagna risultano altissime, intorno all’80-90% nella maggior parte delle Asl.

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