Giornata piena, agenda fitta. Eppure c’è il caso che anche la giornata chiave nella quale dovrebbero arrivare al pettine il nodo Mes e quello Ilva, roba seria e deflagrante, mica le diatribe da talk show sulla sugar tax, finisca con un classico doppio rinvio.

IL VERTICE CONVOCATO per il primo mattino sulla riforma del Mes durerà poco. In anticamera c’è il commissario europeo uscente Moscovici che aspetta di salutare il premier ma ci ha tenuto a far sapere ieri che la riforma del Fondo salva stati deve passare a ogni costo. Lo ripeterà nel vertice il ministro dell’Economia Gualtieri. Insisterà sul fatto che non c’è alcun automatismo che imponga la ristrutturazione del debito ai Paesi che chiedono prestiti. Il Pd lo appoggerà a spada tratta ma non basterà. Per LeU ci sarà, con Cecilia Guerra, Stefano Fassina, che ha già sparato a zero sulla riforma. Ma il problema non è certo LeU. Sono i 5S e non sembra facile che si facciano convincere. Di Maio tiene la posizione, pur negando ogni attrito con il premier: «Mai avuto un solo dubbio su di lui. È una mistificazione». Sulla riforma, invece, i dubbi abbondano: «Se qualcuno vuole utilizzare questo Fondo per dare all’Italia quel che ha dato alla Grecia, no grazie. Rischia di stritolare l’Italia e se il presidente dell’Abi dice che così le banche non compreranno più titoli di Stato è evidente che c’è un problema».

Se il leader del primo partito di maggioranza la mette giù così è altrettanto evidente che c’è un problema anche per il governo e non è bastata certo la cena di lavoro tra i ministri di ieri a risolverlo, come non basterà il vertice volante di oggi. Per Conte implorare il rinvio sarà d’obbligo. Il veto italiano in realtà non sarebbe vincolante ma approvare la riforma con il no italiano è quasi impensabile. Dunque il veto fermerebbe il nuovo Mes ma il segnale verrebbe preso dai mercati come annuncio al neon, «Rischiamo il default», e per la speculazione sarebbe un’orgia. Senza contare l’effetto devastante sui rapporti tra Italia e Ue. Però approvare la riforma il 13 dicembre per poi vedersela bocciare in parlamento, con annessa crisi di governo immediata sarebbe anche peggio.

CONCLUSIONE: salvo conversioni improvvise di Di Maio, Conte, all’Eurogruppo del 4 dicembre, dovrà chiedere un rinvio. All’Europa la cosa non piacerà affatto, in particolare alla Germania e ai Paesi del nord. Se poi, come è possibile ma non certo, ad avanzare dubbi sarà solo Roma, il gradimento sarà anche minore. Ma grazie alla paura di san Salvini, è possibile che il rinvio venga concesso e che Conte possa annunciare lo scampato pericolo, per il momento, quando il 10 dicembre si rivolgerà al parlamento.

NEPPURE L’INCONTRO di oggi pomeriggio sull’Ilva, avverte lo stesso Conte, sarà risolutivo. Per il governo, con il premier, ci saranno il ministro dell’Economia e quello dello Sviluppo Patuanelli. Dall’altra parte presidente e ad di ArcelorMittal, padre e figlio, Lakshmi e Aditya Mittal. In mezzo, sul tavolo, la proposta di mediazione italiana accolta ieri dal consiglio dei ministri. È quasi identica a quella ipotizzata sin da quando la multinazionale aveva annunciato la decisione di recedere dal contratto: ripristino dello scudo penale, con una misura stavolta di carattere generale per non incappare nell’incostituzionalità; ammortizzatori sociali per un numero di lavoratori inferiore ai 5mila esuberi chiesti dai franco-indiani ma pur sempre robusto, 3mila operai, mille in più di quanto ipotizzato all’inizio della trattativa segreta o quasi; sconto significativo sull’affitto dell’acciaieria, intorno ai 180 milioni.

I SEGNALI CHE PARTONO dalla multinazionale confermano un avvio di distensione. «Sarà un incontro non risolutivo ma molto importante. Sarà un lavoro immenso ma siamo fiduciosi che si possa cominciare a farlo con il governo italiano», fa trapelare Mittal. Calenda, che ieri ha parlato con i massimi dirigenti, conferma. Non dice niente ma è visibilmente ottimista e consiglia di «presentarsi con il decreto sullo scudo penale giù pronto». Conte e Patuanelli non arrivano a tanto ma il premier lancia un segnale laconico ma preciso: «È un elemento che potremmo riconsiderare».

Se anche la riunione di oggi andasse per il meglio resterebbero parecchi nodi insoluti. Prima di tutto l’ordine di spegnimento dell’altoforno 2 da parte del Tribunale di Taranto, che è stato il vero innesco dello scontro. Poi la posizione dei sindacati, che non hanno alcuna intenzione di accettare gli esuberi, chiedono giustamente di avere voce in capitolo e reclamano il rispetto dei patti già siglati. Infine il punto interrogativo sui ribelli 5S. Se non voteranno il decreto sullo scudo sarà necessario il soccorso della destra. Il decreto passerebbe comunque. La maggioranza si ritroverebbe nuda, senza nessuno scudo a proteggerla.