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Riserva di codice, un principio che guarda al futuro

Riserva di codice, un principio che guarda al futuroMy body is my prison

La recente legge di riforma penale, approvata definitivamente in Parlamento, delega il Governo a dare «attuazione, sia pure tendenziale del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine […]

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 23 luglio 2017

La recente legge di riforma penale, approvata definitivamente in Parlamento, delega il Governo a dare «attuazione, sia pure tendenziale del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni». E, quindi, «dell’effettività della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perché l’intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai princìpi costituzionali, attraverso l’inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale».

Per avviare tempestivamente il lavoro di elaborazione dello schema di decreto legislativo per l’attuazione della previsione di legge delega ho istituito con decreto del 3 maggio 2016 un’apposita Commissione, presieduta da Gennaro Marasca e composta da magistrati e professori universitari, i cui lavori mi sono stati formalmente consegnati nei giorni scorsi.

I lavori hanno consentito una approfondita ricognizione della legislazione penale speciale per valutare quali siano i settori di essa che meritano di trovare sistemazione nel codice, per la rilevanza costituzionale dei beni tutelati.

Come noto, le cause della crisi del sistema penale sono molte, ma se si guarda ai valori tutelati è sufficiente ricordare che il codice penale, che ne costituisce il perno, è stato concepito e realizzato in un clima sociale e culturale e in un assetto di potere assai diversi rispetto a quello attuale.

Occorre domandarsi se l’aggiornamento dei valori e quindi l’individuazione dei beni e degli interessi costituzionalmente protetti che meritino oggi tutela penale passa attraverso la revisione generale del codice.

Per molte autorevoli voci non è più il tempo di grandi codificazioni, ché anzi è questa l’età della decodificazione e si parla di percorrere la strada della creazione di «microsistemi integrati» di diritto penale.

Si deve registrare infatti la sempre più stretta dipendenza tra la normativa penale e quella extra-penale per effetto della crescente complessità dei fenomeni da disciplinare; e in ciò è centrale la concorrenza delle fonti europee nella creazione del diritto per ambiti circoscritti di materie, che in molti casi impongono anche sul piano delle tecniche descrittive dei precetti criteri non sempre compatibili con quelli tradizionalmente usati nei codici.

E tuttavia proprio l’esistenza oggettiva di microsistemi che regolano più livelli – penale e amministrativo e prima ancora definitori delle categorie e dei poteri – nell’ambito dei quali il precetto penale è inserito in un contesto di disposizioni omogenee per settore, spesso anche di minuziosa regolazione di fenomeni e ambiti molto specifici, consente di riservare al codice penale la sola tutela di beni ed interessi di assoluta importanza e di rilievo costituzionale.

Si tratta a ben vedere anche dell’obiettivo che si pongono i fautori di un diritto penale minimo o essenziale.

Proprio in questa prospettiva muove la recente riforma penale dove prevede «l’attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale».

L’attuazione di tale principio è l’indispensabile presupposto per una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni da parte dei cittadini, conoscenza che consente di perseguire l’obiettivo del legislatore sul piano della piena attuazione del principio di legalità anche nei riflessi relativi alla funzione della pena.

Da qui l’enunciazione di una norma di principio che riserva al codice la tutela penale dei beni essenziali della vita e di protezione della comunità civile e che può dare l’avvio ad un processo virtuoso che ponga freno alla proliferazione della legislazione penale, rimetta al centro del sistema il codice penale e ponga le basi per una futura riduzione dell’area dell’intervento punitivo dello Stato secondo ragionevole rapporto rilievo del bene tutelato/sanzione penale.

La norma inserita nella parte generale del codice penale costituirebbe un principio generale che il legislatore dovrebbe necessariamente tenere in conto, spiegando le ragioni del suo eventuale mancato rispetto; una norma di indirizzo di sicuro rilievo, idonea quantomeno a mutare le attuali modalità della legislazione penale.

* l’autore è ministro della Giustizia

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