Lavoro

«Ripartire», la cig non basta

«Ripartire», la cig non bastaManifestazione a Verona dei lavoratori della Riva acciaio

Veneto Sit in a Verona. Le tute blu accusano: «La responsabilità è della proprietà»

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 17 settembre 2013

«Fateci lavorare» urlava lo striscione bianco, insieme alle voci delle tute blu di Riva Acciaio. Un corteo lungo l’ansa dell’Adige, fino al municipio dove il sindaco leghista Flavio Tosi ha ricevuto una delegazione nella sala del consiglio comunali. Operai e impiegati «messi in libertà» hanno condiviso la manifestazione di protesta con le Officine Ferroviarie (250 dipendenti in cassa integrazione).

Netto il giudizio di Andrea Castagna, storico dirigente della Fiom-Cgil che ha appena lasciato la segreteria della Camera del lavoro di Padova: «Chi conosce la famiglia Riva sa che volevano fare in modo che l’Italia si rendesse conto di cosa vuol dire fermare l’attività siderurgica. Ma hanno scelto la parte sbagliata: mettendo in strada i lavoratori. Non è responsabilità della magistratura. È una responsabilità diretta della proprietà».
Tanto più che Verona non è certo Taranto. E le commesse qui non mancano. In gioco 429 posti di lavoro, compresi i 317 operai dell’ex fonderia Galtarossa acquisita nel 1981 dalla holding dell’acciaio che nei 19 impianti italiani realizza quasi il 70% del suo fatturato. E la risposta di Rsu e sindacati di categoria è stata immediata: venerdì pomeriggio sit in davanti ai cancelli; sabato presidio di piazza dei Signori durante l’incontro con il prefetto

Perla Stancari; ieri mattina il corteo con l’esplicita invocazione «Commissario, commissario».
In piazza Bra’, le bandiere rosse sorprendono David Zard che deve presentare il suo nuovo musical in cartellone all’Arena. «Non trovo giusto che paghino i lavoratori per industriali che vogliono raggranellare denaro» scandisce ai cronisti, «Pensavo che nel triangolo del benessere che Verona forma con Milano e Modena non ci fossero situazioni così gravi».

Il «caso Riva Acciaio» è subito rimbalzato in Regione. Il consigliere Roberto Fasoli (Pd) sollecita l’apertura di un tavolo istituzionale con il governo: «La drammatica vicenda dell’Ilva di Taranto rischia di trascinare nel baratro le altre aziende collegate, comprese quelle che hanno ordini e potrebbero continuare a produrre, come la Riva Acciaio». E il governatore leghista Luca Zaia non perde tempo: «Qui è in gioco il futuro della siderurgia. Esiste certamente il diritto della giustizia a procedere, ma sempre nella considerazione che esiste un interesse superiore che è quello del futuro dei lavoratori e della salvaguardia dei livelli occupazionali. Non si possono colpire al cuore e alla cieca interi distretti industriali. Per questo con Maroni e Cota chiediamo di incontrare al più presto il premier Letta: occorre evitare a tante famiglie di finire sul lastrico dall’oggi al domani». Un’implicita sconfessione dell’asse sussidiario fra i «due Flavi», il ministro dello sviluppo economico Zanonato e il sindaco Tosi. A Nord Est, non è più tempo di travestimenti dorotei: la grande crisi, se mai, rispolvera la sintonia rossoverde fra gli operai con la tessera Cgil e la «Lega di lotta» alle larghe intese sulla pelle di tutti.

La partita di Riva Acciaio, comunque, inevitabilmente si intreccia con il destino dell’Ilva affidato alla politica. E la stessa Unione europea sembra più concentrata su come spalmare i 170 miliardi di fatturato d’acciaio con la «mobilità» del 20% degli occupati nei 50 impianti dei 23 paesi membri. A Verona, tocca al prefetto dialogare con i sindacati: «Il tavolo ha condiviso la necessità e l’urgenza di far continuare la produzione. È opinione comune che la cassa integrazione non sia sufficiente per risolvere il problema. Abbiamo fiducia nel governo, che possa prendere i provvedimenti più idonei per far ripartire il ciclo produttivo» dichiara Perla Stancari, in attesa di notizie dal Mise.

E perfino Giulio Pedrollo, presidente di Confindustria Verona, mette alle strette il governo: «La cassa integrazione non deve essere vista come una soluzione: la priorità è far ripartire la produzione immediatamente, perché l’azienda e tutto l’indotto possono subire dei danni non recuperabili. L’auspicio è che il premier Letta faccia presto». Ieri il summit con il direttore dello stabilimento Bruno Marzoli, il presidente del consiglio comunale Luca Zanotto, il presidente della Provincia Giovanni Miozzi, i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil e dei sindacati metalmeccanici si è chiuso con un impegno preciso. «La priorità è far ripartire l’azienda e salvaguardare la produttività del territorio e il lavoro di 500 dipendenti» garantiscono in coro Michele Corso (Cgil), Massimo Castellani (Cisl) e Lucia Perina (Uil).

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