Scricchiolano i ponti in Calabria e Sicilia. Spesso rimangono chiusi a lungo. Come quello sul Simeto, in provincia di Catania. A volte invece crollano poco dopo la loro edificazione. È accaduto di recente a Longobucco, sulla Sila Greca. Qui c’è voluto un cantiere lungo 50 anni e 80 milioni per vedere in piedi il ponte sul fiume Trionto, che un mese fa s’è inginocchiato. Nel resto della Calabria altri ponti preoccupano. Nel gennaio scorso la Regione ha segnalato al governo i casi del viadotto Cannavino a Celico e dell’Emoli sulla Statale 107 nei pressi di San Fili.

Eppure a Roma hanno deciso: bisogna costruire il ponte sullo stretto di Messina. Quella del ministro Salvini però «è una balla». Ne è convinto Alberto Ziparo, urbanista dell’Università di Firenze. «La massima autorità tecnica in termini di costruibilità di ponti sospesi, cioè l’ex coordinatore scientifico Remo Calzona, insieme ai suoi più stretti collaboratori, tutti decani di tecnica delle costruzioni, consulenti del governo e delle più grandi imprese mondiali, oltre 10 anni fa ha spiegato che dopo aver tentato per decenni di passare al progetto esecutivo, non lo ha mai fatto, perché il ponte di Messina non è scientificamente fattibile», spiega Ziparo.

Gli ingegneri specializzati restavano comunque favorevoli alla ricerca di una soluzione di attraversamento stabile dello stretto, ma con onestà ammisero che «non si poteva continuare a saccheggiare le tasche degli italiani. In 50 anni – precisa Ziparo – sono stati spesi 520 milioni, senza mai arrivare nemmeno al progetto esecutivo». Gli esperti erano riusciti a ipotizzare una struttura pesante che non reggeva neanche il proprio peso. Figuriamoci se sollecitata dagli eventi sismici che caratterizzano l’area.

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«La sovraesposizione mediatica di Salvini ha fatto sì che molti oggi arrivino a pensare che siamo di fronte a un progetto reale, ma così non è – spiega Peppe Marra, della rete NoPonte -. L’unico effetto concreto è quello di riaprire una partita per la ex Impregilo che sembrava ormai irrimediabilmente persa. Ora si riapre per noi una lotta che non è solo di opposizione a un’opera alla quale ben pochi, se non nessuno, tra gli addetti ai lavori, credono veramente, ma che consiste nel pretendere finanziamenti e opere concrete per i nostri territori».

La lotta dei No Ponte torna così oggi nelle piazze. Da Legambiente a Cambiamo Messina dal basso, dal Wwf all’associazione medici per l’Ambiente. Ma anche Cgil, Verdi, Sinistra Italiana, i circoli Pd di Messina e Villa San Giovanni, M5S, Unione popolare. Sono già 38 fra partiti, sindacati e associazioni a dare la propria adesione alla manifestazione che nel pomeriggio si snoderà nelle vie di Torre Faro sul lato messinese dello Stretto. La manifestazione è organizzata dal movimento No ponte, nelle sue articolazioni del comitato No ponte Capo Peloro, Invece del ponte, Rete No ponte Calabria e Spazio No ponte.

Dopo incontri, riunioni e assemblee culminate il 6 giugno con il fragoroso presidio di «benvenuto» al ministro Salvini, ospite della Cisl a un convegno organizzato a bordo nave C&T, è giunto il momento del primo grande evento della “rinnovata” lotta contro la grande opera.

«Il corteo si terrà a Torre Faro perché è l’area in cui l’impatto del ponte sarà più devastante rispetto al resto della città – affermano gli attivisti dei No Ponte Capo Peloro – occorre sfatare il mito che il ponte sia una semplice linea rossa tra le due sponde, come se le sue torri fossero mattoncini Lego. E poi è tutt’altro che green. Dicono che non devasterà la riserva di Capo Peloro. Ma non è così. I pilastri saranno poggiati sul canale Margi che verrà addirittura deviato. È il canale che consente l’equilibrio dell’ecosistema di tutti e due i laghi e dell’intera laguna di capo Peloro. Ciò significherà devastare quella riserva». Il corteo partirà alle 17,30 in via Palazzo per concludersi sotto il pilone, nei pressi dell’Horcynus Orca.