Tutti sanno che per far finire la guerra fra Russia e Ucraina c’è solo una scelta: far tacere le armi e lavorare per ricostruire le basi di una trattativa.
Nessuno può negare, ma ipocritamente non si dice, che le proposte avanzate nella disperante guerra ucraina sarebbero più credibili se chi le propone non dipendesse così pesantemente dal punto di vista energetico da uno dei contendenti, la Russia, cioè chi ha scatenato la guerra. Ben altra forza avrebbe avuto l’azione diplomatica europea se quando si cominciò a prendere coscienza della crisi climatica, quasi trent’anni fa, si fosse deciso di perseguire subito l’obiettivo della sovranità energetica, sviluppando le rinnovabili. Ed invece non è andata così.

Se il ministro Cingolani e i suoi consiglieri guardassero – e condividessero con i cittadini – i dati necessari a disegnare la transizione energetica anziché affidarsi a quelli forniti da chi ha interesse a contraffarli sarebbe un buon servizio per il Paese e per la democrazia. Se invece vogliono confutarli, indichino con precisione dove e perché sarebbero sbagliati quelli su cui concordano invece tutte le formazioni ambientaliste.

I nostri sono quelli elaborati dall’ingegner Sorotkin, membro del comitato scientifico della Lega Ambiente, che li ha resi noti a tutti. Ci dicono che se il nostro Paese avesse mantenuto il ritmo di crescita delle fonti rinnovabile che si consolidò nel triennio 2010/2013 avrebbe potuto ridurre di oltre il 70% le importazioni di gas dalla Russia.
In dettaglio:

-per coprire l’intero fabbisogno energetico italiano (usi civili, industriali e trasporti) servono circa 350 Gw (gigawatt) di potenza installata;

-per soddisfarla basta utilizzare un mix rinnovabile composto da sole, vento e acqua, fonti disponibili ampiamente nel nostro Paese; l’idroelettrico, cioè l’acqua, può coprire il 10% del fabbisogno ed è una fonte rinnovabile programmabile, quindi in grado di dare stabilità alla rete elettrica quando manca il sole e non c’è vento;

-il 45% potrebbe essere coperto dall’energia solare coprendo con pannelli fotovoltaici venti metri quadri di superficie per abitante. È inconsistente l’obiezione che così si rovinerebbe il paesaggio visto che la superficie cementificata nel nostro Paese copre circa 350 metri quadri per abitante e basterebbe quindi coprire tetti, capannoni, pensiline senza occupare nuovo suolo; un altro 40% del fabbisogno verrebbe dal vento, installando 10 mila turbine di cui 3000 a mare;

-il rimanente 5% lo coprirebbero le biomasse, la geotermia e i rifiuti.

-Infine sul problema degli accumuli di energia va sottolineata l’importanza dei nostri laghi da cui si può pompare acqua nei bacini idroelettrici superiori, come fanno nell’isola di Hierro nella quale pompano l’acqua dall’oceano nel cratere di un vulcano e facendola ricadere coprono l’intero fabbisogno elettrico dell’isola.

Nel loro insieme dimostrano che non ci sono limiti oggettivi alla costruzione di un modello energetico rinnovabile, ma solo limiti politici. Altrettanto inconsistente è l’obiezione sui tempi della transizione. Se non si comincia mai, naturalmente sono lunghissimi. In Italia se ne è sprecato già molto e per calcolarli serve adesso sapere dal governo quanto, e a partire da quale data, si intende investire nei prossimi tre anni, nei settori che abbiamo indicato.

Si facciano dunque vedere numeri chiari, si semplifichino le procedure autorizzative, ci si proponga di costruire la filiera industriale necessaria, si metta mano alla indispensabile formazione di chi dovrà essere protagonista di questa rivoluzione che può portare moltissimo lavoro, ma diverso.