Cultura

Rinegoziare l’egemonia nel passo di Gramsci e di un cambiamento

Rinegoziare l’egemonia nel passo di Gramsci e di un cambiamentoIkons, Foto Ap

SCAFFALE A proposito del volume di Henry Armand Giroux, «Pedagogia critica», tradotto per Anicia Edizioni

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 16 febbraio 2024

Henry Armand Giroux, intellettuale pubblico di stampo gramsciano, vanta un riscontro internazionale come uno dei massimi esponenti della pedagogia critica insieme a quel grande educatore, pensatore e attivista, Paulo Freire (1921-1997) che fu un suo mentore di spicco come lo stesso Giroux afferma in uno degli ultimi capitoli di Pedagogia Critica (Edizioni Anicia, pp. 290, euro 28, presentazione di Cristiano Casalini, traduzione di Teresa Savoia). Un suo amico e ex-collega, Peter McLaren definisce la pedagogia critica come «fondamentalmente focalizzata sulla centralità della politica e del potere nella nostra comprensione» dell’educazione e dell’apprendimento. Ciò che è significativo, però, non è solo il rapporto pedagogia-potere, per quanto importante, ma le questioni relative al contesto, alla teoria, all’autoriflessione, alla riflessività e all’etica, tutti combinati in una nozione di praxis (riflessione sull’azione a fini trasformativi). Tutto si ritrova nell’opera di Paulo Freire ed è fondamentale per la pedagogia critica, qui concepita nel suo contesto più ampio così come in Gramsci nel contesto di «rinegoziare» i rapporti essenzialmente pedagogici dell’egemonia, dove la formazione è vista nelle sue dimensioni sociali e ambientali più ampie.

GLI STUDENTI sono visti come agenti, intellettuali trasformativi, impegnati nel cambiamento, nella «lettura della parola e del mondo», come ispirato da Freire. Pongono domande approfondite riguardo a chi ottiene vantaggio e chi viene scartato nella struttura di potere. Prendono in considerazione anche questioni più ampie, incluso quelli che coinvolgono il resto dell’ambiente. È una pedagogia che porta a tradurre quelle che sembrano questioni personali, e apparentemente individuali, in questioni pubbliche più ampie. È una pedagogia contro l’«usa e getta», sia nel trattamento delle persone e altre creature che dei prodotti e della terra. In questo approccio di stampo critico, bisogna trattare la natura nella sua dimensione cosmica più ampia. È una pedagogia anti-individualista ma che valorizza l’autonomia individuale in un contesto collettivo. Le persone realizzano il cambiamento non da sole ma insieme ad altri. Vengono individuate le forze che militano contro tutto questo. In primo piano c’è il neoliberismo che propone l’ideologia di un eccessivo individualismo in un ambiente capitalista competitivo darwiniano. Ciò si riflette in un sistema educativo basato su un approccio tecnicista a scapito di valori etici e civici. Riflette il mantra generale thatcheriano secondo cui non esiste una cosa come la società ma solo individui che agiscono per interesse personale. Costituiscono attori in un mercato glorificato e spietato. Anche l’istruzione è immersa in questo mercato, diventando oggetto di scelta del consumatore invece di essere un bene pubblico. L’istruzione superiore, a parte le scuole, fornisce un’arena dove entrano in gioco le forze del mercato. Ciò avviene in parallelo alla distruzione del contratto sociale.

NELLE PAROLE di William Greider, siamo ritornati alla situazione precedente al secolo XX (tutti quei diritti sociali conquistati dalle classi subalterne attraverso la lotta, impegno e trattative di sindacati, pian piano si sono smarrite). Senza la tutela dello stato sociale, coloro che falliscono lungo la strada, un numero sempre più crescente, diventano bersaglio di vere e proprie «guerre», la parola usata in senso metaforico e anche letterale. Le persone coinvolte diventano foraggio facilmente smaltibile, alcuni inviati al fronte (Afghanistan, Iraq e Siria) per poi tornare nei sacchi per cadaveri. Tra le principali vittime della «guerra», concepita in senso metaforico, sono i bambini e i giovani, coloro che dovrebbero custodire la promessa di un futuro migliore.
Al contrario, si sono trasformati in persone che figurano nella «tubatura» scuola-carcere. Lo «stato carcerario» è l’immagine che spicca soprattutto negli Usa, contesto principale per gli scritti di Giroux. Ciò ha risonanza in Italia soprattutto nel pensiero e nell’opera di importanti pedagogisti critici come Ada Gobetti e don Lorenzo Milani, grazie ai loro scritti antibellici.

LA PREOCCUPAZIONE principale in Italia è l’eredità del fascismo che, come affermano Giroux e Pasolini, a modo loro, non è finito nel 1945, e, in Portogallo, Grecia e Spagna, molto più tardi, ma continua in forme diverse. Il fascismo esiste ancora oggi. Giroux mostra il fascismo nascente e in costante sviluppo negli Usa, prima con George W. Bush, poi culminato nel populismo di destra del Trump «anti-establishment» (antistituzionale). Si riflette nella cultura anti-intellettuale e nella diffusione di notizie false (fake news), alimentate da sistemi comunicativi privi di pensiero critico e che prendono di mira «i nemici» individuati come falsi capri espiatori, ad esempio gli immigrati. Altrove, Giroux riprende un’importante affermazione di Gramsci – dedica un intero capitolo a lui – secondo cui il «vecchio» sta morendo e il «nuovo» fatica a emergere. Il «nuovo» è forse già emerso, senza che ce ne siamo accorti; e non nel modo auspicato dai pedagogisti critici di sinistra come Giroux, Milani, Gobetti, Freire e molti altri.
Secondo Yanis Varoufakis, il vecchio capitalismo potrebbe essere già morto, sovrastato e sostituito non da un sistema socialmente giusto ma da un feudo tecnico (techno feudalism), che concentra il potere in una manciata di baroni come Jeff Bezos e altri, padroni assoluti di piattaforme come Google e Tiktok. Se fosse vero, quali nuove strategie pedagogiche sarebbero necessarie per contribuire a contrastare questo nuovo autoritarismo?

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