Da tempo, il movimento operaio è stato proclamato moribondo e di lotta di classe si è smesso di parlare. La pandemia sembrava avere ulteriormente indebolito i lavoratori rispetto alle imprese. In realtà dalla Gkn a Firenze al settore automobilistico negli Stati uniti, passando attraverso i lavoratori dei servizi (dai riders a Mondo Convenienza) diverse realtà hanno visto mobilitazioni massicce e durature, spesso capaci di raggiungere inattese vittorie. Già durante la crisi finanziaria all’inizio della scorso decennio, del resto, era stata notata, soprattutto in alcuni paesi, un revival delle proteste dei lavoratori, in parte di difesa contro le politiche di austerità e in parte, comunque, anche più offensive, capaci di innovare nel repertorio e nelle forme d’azioni.

Nella ricerca sociologica sul movimento operaio, e sui movimenti sociali in generale, queste ondate di protesta sembrano caratterizzate dall’emergere come attori collettivi di nuovi soggetti sociali, con forme d’azione e rivendicazioni che ricordano, almeno in parte, quelle che hanno caratterizzato il ciclo di protesta operaia in Europa a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta.

Per analizzare le potenziali somiglianze nelle mobilitazioni appena ricordate, particolarmente utile sembra rivisitare il contributo di Alessandro Pizzorno all’analisi sociologica del movimento operaio.

Riflettendo sui fondamenti dell’agire sociale, Pizzorno ha focalizzato l’attenzione sulle incertezze degli attori nel relazionarsi con circostanze complesse. Mentre l’analisi della struttura di classe si è concentrata sulla stratificazione sociale, riflettere su ondate di intenso conflitto è stato importante per individuare come le risorse organizzative e i processi di identificazione possano effettivamente svilupparsi in azioni collettive, a partire dalla mobilitazione stessa, invece che essere una precondizione per essa. Mentre gran parte della ricerca sulla stratificazione sociale sembra aver dimenticato la complessità della concettualizzazione di classe il lavoro di Alessandro Pizzorno aiuta a focalizzare nuovamente l’attenzione sui modi in cui la solidarietà di classe emerge durante le lotte operaie. In questo senso, quella analisi si confronta con le recenti riflessioni su un ritorno non solo dell’azione operaia ma anche delle classi come motori della storia.

Come ha osservato Mike Savage, infatti, «all’interno del pedigree eroico della politica socialista e dell’analisi marxista, alla classe sociale è stato assegnato un ruolo preminente, non semplicemente come strumento tecnico di misurazione ma nel plasmare il corso della storia stessa … La classe chiaramente non è una vecchia reliquia industriale … ma è viva e vegeta, genera rabbia e risentimento ed è sintomatica di una serie di problemi distopici».

Applicata originariamente al movimento operaio in Europa tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, l’analisi di Pizzorno sull’emergere e il riemergere delle lotte per il riconoscimento può contribuire alla comprensione di quella che è stata definita una “rinascita” del movimento operaio. Le lotte per il riconoscimento delle gruppi sociali emergenti erano considerate da Pizzorno un passo preliminare alle lotte sugli interessi specifici, dato che questi possono essere valutati solo una volta formatesi le identità collettive senza le quali ogni definizione di interesse è impossibile. Il riconoscimento è quindi considerato un obiettivo centrale delle lotte dei gruppi emergenti.

Le lotte per il riconoscimento esprimono il bisogno di costruire un’identità collettiva attorno alla quale valutare i vantaggi futuri. Costruendo circoli di riconoscimento, l’azione collettiva costruisce solidarietà, trasformando l’obiettivo particolare in uno generale. In questo modo, le organizzazioni dei movimenti sociali consentono la formazione di un’identità collettiva che consente agli individui di integrarsi nelle collettività.

Il periodico riemergere di lotte per il riconoscimento mette in guardia contro visioni di pacificazione del conflitto sindacale e di «estinzione» degli scioperi come tendenza inevitabile, sottolineando piuttosto la natura ciclica della storia degli scioperi. Teorizzando le variazioni nel tempo legate all’emergere di nuovi gruppi sociali, forme di lotta e coscienza di classe, Pizzorno ha suggerito infatti che «bisogna prestare attenzione alle variazioni periodiche di certi fenomeni. Altrimenti, ad ogni nuovo scoppio di un’ondata di conflitto noi saremo indotti a pensare che siamo sull’orlo di una rivoluzione; e quando apparirà la recessione, prediremo la fine del conflitto di classe».

Cinquant’anni dopo il cosiddetto “autunno caldo” del 1969, che segna il periodo più intenso di mobilitazione dei lavoratori in Italia, i contributi teorici ed empirici di Alessandro Pizzorno alla ricerca sui conflitti lavorativi (e altri) ci aiutano a comprendere il periodico aumento, picco e declino dei conflitti lavorativi. conflitti di classe.

DI QUESTO SI PARLERÀ in un convegno organizzato a Firenze da chi scrive e da Guglielmo Meardi presso la facoltà di Scienze politiche e sociali della Scuola Normale Superiore, oggi e domani.