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Rinascimento latinoamericano, un modello di difficile esportazione

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"Magia bianca magia nera", un libro di Carlo Formenti per Jaca Book. Una analisi che si sofferma sui limiti dell’esperienza del rinascimento latinoamericano

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 19 febbraio 2015

La vittoria di Syriza in Grecia non ha soltanto aperto nuovi spazi per politiche che vadano in senso opposto a quelle improntate alla cosiddetta austerity imposta dalle istituzioni europee ai paesi con i conti, a parer loro, non in regola. Potrebbe infatti rappresentare un’ottima occasione per il rilancio – soprattutto se si assisterà anche a un successo di Podemos in Spagna – di una sinistra vera e di dimensione europea. Non solo, scompigliando i giochi che vedevano in quasi tutti i paesi il dominio di partiti, nominalmente di centrosinistra e centrodestra, comunque favorevoli senza riserve alle sacre leggi del neoliberismo, si potrebbe iniziare a parlare pure nel vecchio continente di fuoriuscita dal turbocapitalismo finanziario finora dominante.

Può essere estremamente utile allora, anche in quest’ottica, approfondire ed analizzare più a fondo quello che sembra essere il precedente più vicino alla attuale situazione europea, ovvero quello che vide protagonisti da un lato i paesi dell’America latina e dall’altro la troika composta da Fondo monetario internazionale, Banca mondiale e Organizzazione mondiale del commercio. Anche in quel caso il problema era il debito pubblico, anche in quel caso si imposero agli stati coinvolti politiche basate su privatizzazioni e tagli alla spesa selvaggi. Anche in quel caso furono le lotte dal basso, di campesinos, indios, studenti e operai, ad innescare il cambiamento che ha portato alla situazione attuale con il «Socialismo del XXI secolo» di Hugo Chavez e l’emergere di presidenti come Evo Morales, Pepe Mujica (ormai ex-presidente), Rafael Correa e poi ancora Lula e Dilma Roussef, i Kirchner e così via.

Davvero utile, a questo proposito, può risultare la lettura di Magia bianca magia nera di Carlo Formenti, uscito di recente per Jaka Book (pp. 116, euro 12). Il libro è incentrato sull’Ecuador di Rafael Correa e, naturalmente, è stato scritto prima della vittoria di Tsipras, ma la domanda che lo attraversa è proprio se e come quanto accaduto in America latina possa rappresentare un viatico per i movimenti e la sinistra occidentale. Si tratta di un testo molto breve, scandito in tre parti: la prima è dedicata alla storia recente del paese, la seconda assume l’aspetto del reportage in cui, tramite incontri e interviste, si dà voce sia ai sostenitori che ai critici della «Revolucion Ciudadana» di Correa. la terza parte si interroga e riflette sulla situazione attuale e sulle sue prospettive.
Fin dalla prefazione Formenti dichiara apertamente le proprie riserve e perplessità: «l’etichetta di “socialismo del XXI secolo” è troppo generosa (perlomeno nel caso ecuadoriano) nei confronti di governi che, nella migliore delle ipotesi, possono essere definiti populisti di sinistra o post neoliberisti». Così, dopo aver raccontato con chiarezza come «Alleanza Pais» – il partito fondato da Correa che concorse eslusivamente alle elezioni presidenziali, vincendo senza avere propri deputati in parlamento – ha raggiunto il potere, passa ad analizzare tutta una serie di nodi teorici e pratici di estremo interesse. L’autore non lascia in secondo piano tutta una serie di fatti sicuramente positivi, dall’atteggiamento tenuto dal governo ecuadoriano nei confronti di Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks, all’approvazione della nuova Costituzione, chiamata di Montecristi dal luogo in cui è stata discussa e approvata, definita senza mezzi termini «una delle più avanzate del mondo tanto in maniera di riconoscimento dei diritti individuali, civili, sociali e ambientali, quanto in materia di riconoscimento dell’identità e dell’autonomia delle minoranze etniche, nonché di formalizzazione delle procedure di democrazia diretta e partecipativa». Ma mette in evidenza come anche questi elementi nascondano questioni tutt’altro che risolte.

Così, ad esempio, proprio l’applicazione della stessa costituzione diventa terreno di scontro tra visioni differenti: quella ambientalista radicale incarnata dal presidente dell’Assemblea costituente, Alberto Acosta, e quella modernizzatrice di Correa. Non solo, il paese appare governato da un potere fortemente centralizzato piuttosto che da elementi di democrazia diretta. Inoltre, dal punto di vista economico non sembra minimamente cambiato il rapporto di produzione – nessun tentativo di fuoriuscita dal capitalismo, insomma – e il modello dominante rimane di tipo estrattivo e modernizzante. Formenti mette anche in evidenza i meccanismi con cui il potere centrale è riuscito a cooptare ampie fasce della dirigenza dei movimenti di lotta. E affronta anche temi più squisitamente teorici, discutendo sia la recente lettura di un Marx interessato alle forme di cooperazione dei contadini russi proposta da Ettore Cinella, sia le tesi di Luciano Vasopollo sulla centralità dell’antagonismo dei contadini e dei campesindios in particolare nei riguardi del capitalismo, sia l’idea di populismo di Ernesto Laclau come forma «che la lotta politica tende necessariamente ad assumere nell’epoca attuale». Così come non mancano critiche al concetto negriano di moltitudine.

La posizione dell’autore può essere sintetizzata innanzi tutto nella «necessità di un ritorno a una visione marxista che ponga la lotta di classe al centro dell’attenzione». Questo, però, da solo non basta: «occorre procedere a un’analisi concreta della composizione di classe che ha consentito la crescita dei processi rivoluzionari prima che venissero imbrigliati nella gabbia populista».

Magia bianca magia nera induce a riflettere e a porsi domande anche e soprattutto nelle parti in cui non si è d’accordo con la visione dell’autore. E spinge a pensare e a interrogarsi, al di là della situazione specifica in America latina, sullo stato attuale dei rapporti di forza tra le classi a livello mondiale.

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