Rimettiamo l’Europa in comune
Trattati di Roma Al cuore della crisi politica europea si trova la mancanza di una vera democrazia, che può contare su sempre meno persone in grado di influenzarne lo sviluppo in senso democratico
Trattati di Roma Al cuore della crisi politica europea si trova la mancanza di una vera democrazia, che può contare su sempre meno persone in grado di influenzarne lo sviluppo in senso democratico
La crisi politica, che segna l’Europa a sessant’anni dalla firma dei Trattati di Roma, non è semplice da interpretare per la sua sovrapposizione di contraddizioni interne ed esterne.
Il contributo europeo alla popolazione e all’economia mondiali è in calo.
E l’Europa deve ridefinire il suo ruolo di fronte all’ascesa di nuove potenze e di fronte alla crisi climatica globale. L’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti e la Brexit forniscono un nuovo sistema di coordinate.
La crisi è anche interna. Dopo due decenni di riforme economiche neoliberiste e di austerità, che hanno distrutto le prospettive future di quasi un’intera generazione di giovani, soprattutto nell’Europa meridionale, sarebbe necessario un piano di ricostruzione sociale in Europa. Ma questa visione non si è fatta strada ai vertici dell’Unione Europea, come ad esempio lascia intendere il Libro Bianco sul futuro della Ue, pubblicato all’inizio di marzo.
Si è forse trattato, di fronte a molti e indistricabili problemi, di una mossa intelligente il fatto che il Presidente della Commissione europea, J.C. Juncker, non abbia presentato una proposta politica coerente, ma quattro scenari di una futura integrazione europea: «Business as usual», lo smantellamento della Ue in una zona di libero scambio, la concentrazione della Ue su alcune politiche chiave, una Ue fondata su specifici accordi o l’estensione dell Ue verso una completa unione economica, finanziaria e fiscale.
I popoli europei stanno voltando le spalle in misura preoccupante all’integrazione europea, come lo stesso Juncker è costretto ad ammettere. Tuttavia, ciò ha portato solo in casi eccezionali, in particolare nel Sud, a un rafforzamento della sinistra. La regola sembra piuttosto essere che le persone traducono la loro insoddisfazione e la paura del futuro in crescente razzismo e nazionalismo. Si può dunque interpretare il Libro Bianco anche come un tentativo della «grande coalizione» formata da democristiani, socialdemocratici e liberali, di assumere una posizione difensiva contro la destra populista. Può questa tener testa alla pressione del nazionalismo?
Althusser insegna a trovare l’essenziale in ciò che non viene dichiarato. La principale omissione nel Libro Bianco è l’assenza di qualsiasi riferimento ai Trattati esistenti della UE. Questa riluttanza potrebbe essere la – del tutto realistica – valutazione per cui, nel quadro degli attuali rapporti, non sia praticabile alcun cambiamento della struttura giuridica fondamentale. Ma ciò significa che per l’Unione Europea si prospetta più un «qualcosa in più del solito» che una «grande riforma». Più efficiente, più rapida, certo. Ma questo non è affatto sufficiente per trovare una via d’uscita dalla crisi.
Le società europee sono sbilanciate. Comprendere ciò significa riconoscere che il compromesso durato finora, che ha sostenuto le società europee e la Ue, con Welfare state, alta occupazione e miglioramento del tenore di vita per molti, è stato rotto dalle classi dominanti sotto il segno del neoliberismo. Il risultato consiste nella disoccupazione di massa che minaccia soprattutto l’Europa meridionale e orientale, nell’abbandono di una generazione perduta e nel mettere i popoli europei l’uno contro l’altro e contro il resto del mondo. La crescita delle destre radicali non è la causa della disintegrazione dell’Europa, bensì una delle sue conseguenze.
L’Unione Europea si è dimostrata negli ultimi decenni sorda alle preoccupazioni e alle sofferenze delle sue cittadine e dei suoi cittadini. Si è sentito dire molte volte che l’Europa deve cambiare rotta. Al cuore della crisi politica europea si trova la mancanza di una vera democrazia, che può contare su sempre meno persone in grado di influenzarne lo sviluppo in senso democratico. La seconda, stridente omissione nei futuri scenari della Commissione Europea, è la realistica definizione del principale deficit nella costruzione europea, la mancanza di una democrazia reale. Ma la prosecuzione e il rafforzamento del precedente federalismo autoritario non possono certo essere considerati la via d’uscita dalla crisi di fiducia tra cittadini e Unione europea.
Mai nella storia la democrazia è stata gentilmente concessa dalle élite dominanti. Essa è stata sempre conquistata da movimenti di massa in processi rivoluzionari. L’Europa ha bisogno di un movimento rivoluzionario di massa, democratico o la sua integrazione pacifica rischia di fallire una seconda volta.
Il Libro Bianco, pubblicato dalla Commissione europea per l’anniversario dei Trattati di Roma, ha deluso molti che attendevano un cambiamento economico e sociale della Ue introdotto «dall’alto». Esso non migliorerà le condizioni delle donne e degli uomini che vivono nell’Unione europea e dipendono dalla vendita del proprio lavoro. Ed esso non presenta ai popoli europei nessuno di quei cambiamenti istituzionali, che potrebbero combinare, in prospettiva, autodeterminazione e democrazia transnazionale.
Mossa intelligente o no, il dibattito sul futuro dell’Europa è aperto. Vi sarà qualche possibilità di successo se sarà un dibattito in cui le popolazioni europee, i sindacati, i movimenti sociali e le forze politiche assumeranno l’Europa come «comune».
* Walter Baier è direttore della rete transnazionale Transform!Europe.
Traduzione dal tedesco di Beppe Caccia
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