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«Rileggiamo Rachel»

Intervista «Silent Spring» di Rachel Carson, libro simbolo per gli ambientalisti, compie 60 anni. Ne parliamo con Bruna Bianchi, profesoressa di Storia delle donne

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 29 settembre 2022

Compie 60 anni il libro Silent Spring (Primavera Silenziosa) di Rachel Carson ritenuto il manifesto del movimento ambientalista mondiale. Pubblicato nel settembre del 1962 negli Stati Uniti previde con forte anticipo sui tempi gli effetti sull’uomo e la natura degli insetticidi utilizzati in agricoltura. Tanto fu il clamore intorno al libro che anni dopo la pubblicazione venne vietato l’impiego del DDT in agricoltura e vennero emanati una serie di provvedimenti legislativi in materia di tutela ambientale. «L’idea centrale di Silent Spring, ovvero che gli esseri umani siano parte di un delicato e complesso ecosistema, implicava un radicale mutamento culturale, un rovesciamento completo del pensiero, ancora oggi dominante, che pone gli umani al di fuori e al di sopra della natura e dà loro il diritto di sfruttarla, manipolarla, dominarla», afferma Bruna Bianchi, professoressa di Storia delle donne e del pensiero politico contemporaneo presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, ora in pensione. «E il pensiero di Carson è rivoluzionario. Nel 1990 Grace Paley, scrittrice e attivista contro il nucleare, ha affermato: Rachel Carson pensava che era necessario amare la natura per poterla comprendere. Non era sentimentalismo. Sapeva che era pericoloso acquisire una conoscenza senza quell’amore. Ci ha insegnato che la vita di un insetto non può essere annientata senza uccidere gli uccelli canori. E che la voce di un uccello canoro non può essere ridotta al silenzio senza avvelenare un bambino. «Se coglieremo a fondo questo messaggio – continua Bianchi – forse potremo arrestare il processo distruttivo che sta devastando il mondo».

Bianchi, è corretto dire che Carson è stata la madre dell’ambientalismo contemporaneo?

La frase, che può suonare enfatica, dà rilievo all’influenza di una donna di scienza e una letterata che ha ispirato generazioni di attivisti, ha avuto un ruolo fondamentale nella presa di coscienza di un vasto pubblico della crisi ambientale, ha indicato un modo diverso di percepire e studiare la natura e di concepire la scienza».

Lei ha scritto che «una donna con una formazione scientifica accusava la scienza di aver imboccato una strada che conduceva alla distruzione della vita, che considerava la natura come ostile…». Su quali argomentazioni si basava Carson?

La critica di Carson si rivolge al concetto di natura statica, alla concezione rigida causa/effetto che non tiene conto della dinamicità dell’ambiente, della continua e complessa interrelazione di forze fisiche, chimiche e biologiche. La chiara illustrazione del principio ecologico dell’interconnessione offriva a lettori e lettrici gli strumenti per opporsi alla direzione imboccata dalla scienza che Carson interpretava come un arresto nell’evoluzione della conoscenza. Silent Spring terminava con queste parole: «Il controllo della natura è una frase concepita nell’arroganza, nata dall’età di Neanderthal della biologia e della filosofia, quando si credeva che la natura esistesse per l’utilità degli esseri umani. È per noi una sfortuna allarmante che una scienza ancora così primitiva si sia dotata delle più moderne e terribili armi e che nel rivolgerle contro gli insetti le ha rivolte anche contro la terra».

Nel 1962 il libro fu osteggiato negli Stati Uniti da molti scienziati…

Questo accadde perché criticava l’economia e il diritto indiscusso «di guadagnare un dollaro a qualsiasi costo» e perché la sua visione ledeva gli interessi degli scienziati strettamente legati all’industria chimica. Inoltre, criticando dalle fondamenta il sapere scientifico, metteva in discussione la figura dello scienziato, «isolato come sacerdote nel suo laboratorio», detentore di una verità impartita dall’alto e indiscutibile. Scrisse nel 1952: «Questo non è vero. Non può essere vero. La materia della scienza è la materia della vita stessa. La scienza è parte della realtà del vivere».

Nel giudizio degli scienziati di quel tempo pesò il fatto che era una donna?

Il dibattito che seguì alla pubblicazione di Silent Spring assunse forti connotazioni di genere e il libro fu attaccato violentemente attraverso l’autrice: negli interventi di autorità politiche e di esponenti dell’industria chimica, nelle vignette apparse sulla stampa, Carson è stata descritta come una zitella emotiva, irrazionale, regressiva, dedita al culto dell’equilibrio della natura. Una donna inutile, perché non sposata e senza figli, che si occupava di cose inutili come gli uccelli, osava sfidare gli uomini di scienza e con essi la razionalità, l’oggettività, il progresso.

Come fu accolto il libro in Italia?

Manca ancora uno studio sulla ricezione di Silent Spring, che apparve in traduzione italiana nel maggio del 1963. L’opera è stata costantemente menzionata nelle sintesi del pensiero e del movimento ecologista, è stata messa in rilievo la sua denuncia dell’uso indiscriminato dei pesticidi, ma non mi pare sia stata analizzata a fondo. Nel 2012, il cinquantesimo di Silent Spring in Italia è passato quasi inosservato. Inoltre, non è stata fatta una lettura integrata con il complesso dei suoi scritti.

In effetti non era la prima pubblicazione di Carson sui temi ambientali…

Al mare Carson dedicò tre opere scientifiche e di grande valore letterario: Under the Sea-Wind del 1941; The Sea Around Us del 1951 e The Edge of the Sea del 1955. In esse lettori e lettrici sono invitati/e a superare il confine tra il mondo umano e naturale, tra mondo terrestre e marino, a pensarli dalla prospettiva delle creature che lo abitano. Nel Mare intorno a noi, una vera e propria biografia del mare, ha anticipato le critiche al paradigma scientifico. Nel 1956 apparve un articolo dal titolo Help Your Child to Wonder, un manifesto pedagogico e letterario sull’esperienza dell’infanzia nella natura che Carson, dopo la pubblicazione di Silent Spring, avrebbe voluto ampliare. Verso la fine della vita era più che mai convinta che il senso della meraviglia, se coltivato fin dall’infanzia, avrebbe favorito quel rispetto che non avrebbe tollerato la distruzione.

Il suo impegno non era rivolto anche all’emancipazione delle donne…

Carson non si definiva femminista, eppure, con il suo modo di intendere la scienza sfidò le divisioni gerarchiche, l’idea che l’oggettività e il distacco fossero superiori alla soggettività e all’emozione, che la sfera pubblica fosse più importante di quella privata, che gli uomini fossero superiori alle donne. Nei suoi scritti mise in discussione le ideologie dell’oppressione ed esercitò una rilevante influenza su scienziate, movimenti femminili e donne comuni. Un forte messaggio di liberazione ci viene anche dalla sua stessa vita: una donna che manteneva la sua famiglia, che non permise mai al sessismo di condizionare il suo agire, determinata ad affermare il diritto di essere ascoltata e che riuscì a dimostrare che le sue idee erano importanti e meritavano attenzione.

Chi è l’erede di Rachel Carson?

Tra coloro che hanno raccolto l’eredità di Carson, ricordo Rosalie Bertell, scienziata scomparsa nel 2012, ma che è oggi un punto di riferimento importante. La sua opera, No Immediate Danger del 1985, è considerata la continuazione di Silent Spring. Al «forte grido di battaglia» lanciato da Carson contro i pesticidi, Bertell univa il suo grido contro le radiazioni. Come Carson sfidò la nozione di oggettività scientifica, accusò di arroganza la scienza moderna che legittimava l’introduzione nell’ambiente naturale di sostanze tossiche prima di averne verificato la pericolosità. Il suo ultimo libro Pianeta terra. L’ultima arma di guerra, pubblicato nel 2000 e aggiornato al 2010, in cui affronta la questione della geoingegneria, ha la stessa forza di denuncia del libro di Carson, esprime lo stesso senso di urgenza e rivolge lo stesso appello alla democrazia, al diritto di cittadini e cittadine di essere informati/e sulle attività che distruggono il pianeta.

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