«Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?» è la domanda che spesso l’alpino Giuanin rivolge al superiore Mario Rigoni Stern nel capolavoro autobiografico di quest’ultimo, Il sergente nella neve. Quella domanda formulata sottovoce nel libro diventa come un rituale di fiducia e speranza: «sì, Giuanin, ghe rivarem a baita», conferma il sergente, nonostante ignori quale sarà il tragico destino del battaglione Vestone, decimato durante la ritirata di Russia del gennaio 1943. Questo dettaglio minimo – il botta e risposta tra l’alpino e il superiore – offre già la cifra dell’umanità che più di ogni altro tratto caratterizza il sergente nel suo ritorno a casa.

L’estremo sentimento di pietas che emerge nell’opera di Rigoni – rivolto non solo ai commilitoni ma a tutti gli esseri viventi, persino al nemico – fa anche da fil rouge al volume a cura di Giuseppe Mendicino, Mario Rigoni Stern Cento anni di etica civile, letteratura, storia e natura (Ronzani Editore, pp. 304, €19,00), che raccoglie gli Atti del Convegno internazionale svoltosi ad Asiago nell’ottobre 2021 per celebrare il centenario della nascita dell’autore. Il libro è suddiviso in sei sezioni che guardano a molteplici aspetti dell’opera e della figura di Rigoni: la sua scrittura, naturalmente, ma anche il profondo radicamento nel territorio e la sensibilità ambientale, l’esperienza di soldato durante la guerra, i contatti con il mondo dell’arte.

Data la varietà dei temi, i saggi vengono di volta in volta firmati da esperti del settore coinvolto: il contributo di Luca Mercalli guarda ad esempio all’attenzione rigoniana per la meteorologia, in una prospettiva che ne sottolinea l’intrinseca predisposizione ecologica nel vivere a stretto contatto con una natura che «è stata (…) il suo insegnamento quotidiano, relativo al saper stare nei limiti».

Il rapporto con il paesaggio è al centro dell’intervento del poeta Paolo Lanaro, che a tal proposito ricorda il legame di Rigoni con Andrea Zanzotto sulla base della comune «intuizione che le parole, il logos, la cultura (…) sono radicate nel suolo, fanno parte integrante di un paesaggio che (…) è l’ambito dove natura e storia scoprono l’inevitabilità e la forza della loro relazione». La storia è appunto l’altra grande protagonista dell’opera dello scrittore: ne parla Mario Isnenghi, che si sofferma sulle ragioni della partenza prima che del ritorno dalla guerra del sergente e ricostruisce in tal modo anche il quadro storico-politico dell’Italia anni trenta. Come sottolinea Mendicino, a questa «grande storia» nei libri di Rigoni fa però sempre da pendant una «storia vista dal basso», «vissuta sulla propria pelle» e raccontata non tanto in una prospettiva memorialistica quanto nella convinzione che la scrittura possa farsi «riferimento etico per il presente e per il futuro». Emerge allora un’altra parola-chiave fondamentale per inquadrare il senso dell’opera dell’autore: l’etica, appunto, sulla quale si fonda il patto stesso di Rigoni con il lettore, un «patto di verità che va al di là (…) di una pura scelta di carattere “realista”» e coinvolge chi ascolta, perché «sente che quel racconto lo riguarda» (così Fabio Magro, il quale legge Rigoni attraverso il filtro del saggio di Benjamin sul narratore).

Il volume illustra infine alcune iniziative che hanno omaggiato lo scrittore di Asiago, come la mostra Selvatici e Salvifici. Gli animali di Mario Rigoni Stern ospitata dal Palazzo delle Albere e svoltasi nella collaborazione tra MART e MUSE – qui raccontata da Vittorio Sgarbi – e il Premio Mario Rigoni Stern, di cui Sergio Frigo ripercorre la storia. Anche questi sono segni di una rinnovata attenzione per l’opera dello scrittore di Asiago, a cui si aggiunge la recente riedizione dei suoi romanzi da Einaudi, spesso accompagnati dalle introduzioni di partecipanti al volume come Paolo Cognetti ed Eraldo Affinati.

Gli insegnamenti che la scrittura di Rigoni offre ne garantiscono la longevità. Lo notava lo stesso Zanzotto: «da quella neve lontana continua ad arrivare il riverbero di un fuoco che noi stiamo perdendo di giorno in giorno, entro una cultura che (…) non ha appreso ancora a consacrare valori nuovi. E la letteratura può e deve avere anche questo scopo».