In un solo giorno di lavoro la prima commissione del senato ha avuto ragione di oltre cento emendamenti è ha concluso in tarda serata (salvo sorprese quando il manifesto è già in tipografia) l’esame del disegno di legge costituzionale che inaugura il percorso delle riforme costituzionali. Ritirata la proposta del Pdl di allargare il campo a tutta la seconda parte della Costituzione (quindi anche agli articoli che si occupano della magistratura), per la maggioranza Pd-Pdl-Scelta civica – cui si è aggiunta la Lega del senatore Calderoli – è stata una corsa in discesa. È passata la correzione al testo del governo proposta dalla relatrice Finocchiaro, quella che con l’intenzione di frenare le supposte mire del Pdl in tema di giustizia in definitiva allarga le maglie anche agli articoli della prima parte della Costituzione (purché «strettamente connessi» a quelli, riformati, della seconda).

La corsa di ieri, altamente scenografica per una maggioranza che deve dimostrare di voler fare sul serio le riforme, serve a poco sul piano pratico, visto che la legge approderà comunque in aula la prossima settimana. L’intenzione delle «larghe intese» è quella di chiudere subito la prima lettura, in modo da trasferire velocemente il disegno di legge alla camera dove è in calendario per l’aula il 29 luglio. Servirà una fretta ancora maggiore in commissione e soprattutto bisognerà evitare gli scogli di un calendario affollato di decreti legge da convertire (a proposito dell’esigenza di dare più potere all’esecutivo…). Se malauguratamente per il governo la camera non dovesse riuscire a chiudere la prima lettura entro le ferie, vorrebbe dire che – per rispettare l’intervallo di tre mesi previsto dall’articolo 138 – la commissione dei 40 (che ieri sono diventati 42) non potrà cominciare i suoi lavori di merito prima di Natale. «Sarebbe un problema molto serio», riconosce il ministro Quagliariello, al margine di un convegno organizzato dal senatore Gasparri.

Ma è solo un problema di tempi? Proprio il confronto sul presidenzialismo proposto dalla destra autorizza qualche dubbio. È pacifico infatti che nel tempo dedicato a costruire il comitato dei 42 il governo si attendeva che la «strana» maggioranza che regge il governo Letta trovasse un’intesa sulla forma di governo e sulla legge elettorale. Malgrado le aperture del Pd, non è ancora così. Luciano Violante concede molto agli argomenti della destra – il presidente della Repubblica «deve essere eletto da una base più ampia», bisogna aumentare «la stabilità e la forza di comando politica» – però si ferma sulla soglia di un premierato onnipotente (nomina e sostituzione dei ministri, scioglimento delle camere). E Violante è tra quelli più disponibili con il presidenzialismo, che, ammonisce, «non è più un tabu». Ma nel Pd resiste una componente parlamentarista piuttosto solida. E allora i problemi si spostano a destra, dove l’ex ministro Fitto, assai ascoltato da Berlusconi, accusa i suoi di cedimento al nemico: «Temo che si sia voluta escludere la giustizia dalle riforme proprio perché si dava per perso il presidenzialismo», dice, rimpiangendo la vecchia Convenzione, quella che avrebbe dovuto presiedere Berlusconi: «Adesso è tutto poco chiaro». Soprattutto i berlusconiani temono la fuga in avanti del Pd sulla legge elettorale: quella «di sistema» è affidata alle cure del comitato dei 42, dunque può attendere (Sel ieri ha provato invano a riportarne la competenza alle commissioni parlamentari). Ma le modifiche per salvaguardare il Porcellum da un intervento della Consulta che ormai viene dato per prossimo, dice il Pd, sono urgenti. E il ministro Quagliariello sostanzialmente concorda, prendendosi per questo le rampogne del coordinatore Pdl Bondi. Lui replica: sono in sintonia con Berlusconi e Alfano. Ma è chiaro che i lealisti del Cavaliere non rinunciano all’idea di far crollare tutto, e avvertono il ministro «pontiere» di non spingersi troppo verso l’altra sponda.

Ministro che ieri è stato indiretto destinatario di una denuncia firmata eccezionalmente da tre associazioni riunite – i Comitati Dossetti, Libertà e Giustizia e la neonata Convenzione per la Democrazia costituzionale – che se la prendono con la blindatura della commissione di saggi (anche in questo caso sono 42) «i cui lavori proseguono senza che l’opinione pubblica venga in alcun modo informata». Il metodo del segreto, scrivono Rodotà e Azzariti (Convenzione), Ferrajoli e Allegretti (Comitati), Bonsanti e Zagrebelsky (LeG) è «inammissibile» perché «in materie come questa, che riguardano il destino della Repubblica, la pretesa dell’assoluta riservatezza confligge con l’esigenza democratica di una apertura che renda possibile un’attenzione vigile e un contributo da parte di tutti i cittadini interessati». Tanto più che il governo vorrebbe poi consultare la rete. A domanda Quagliariello risponde che «si provvederà presto», il ministero sta (finalmente) per dotarsi di un sito e metterà in rete i verbali delle precedenti sedute dei «saggi», che dalla prossima settimana si dedicheranno alla forma di governo. Niente diretta streaming, però, Quagliariello rivendica il valore della «riservatezza». Ma è chiaro che mettere un po’ la sordina ai «saggi» che si esercitano sulle riforme serve anche a non irritare troppo il parlamento.