Riforme, lo stallo autoritario
Senato Cambiano ancora le competenze della nuova camera alta e delle regioni, ma resta il nodo dell’elezione dei senatori. Renzi dirige i lavori del parlamento da palazzo Chigi, tornano i dissidenti ma c’è un altro rinvio. In attesa di Berlusconi, tornato presidenzialista
Senato Cambiano ancora le competenze della nuova camera alta e delle regioni, ma resta il nodo dell’elezione dei senatori. Renzi dirige i lavori del parlamento da palazzo Chigi, tornano i dissidenti ma c’è un altro rinvio. In attesa di Berlusconi, tornato presidenzialista
Rientrano nel gruppo del Pd i 14 senatori «autosospesi», incidente chiuso salvo che resta valida la destituzione del senatore Mineo dalla commissione affari costituzionali. Col che una «riforma» può dirsi effettivamente compiuta: d’ora in avanti la rimozione da una commissione (e sue due piedi) di un parlamentare non in linea con la maggioranza del suo gruppo sarà considerata accettabile, magari a seguito di richiesta diretta del presidente del Consiglio. Renzi del resto si muove più da relatore del disegno di legge di revisione costituzionale che da capo del potere esecutivo. Ieri sera ha convocato un ennesimo vertice direttamente a palazzo Chigi sul provvedimento che il governo ha firmato e sta imponendo al parlamento, con tanto di periodiche minacce di dimissioni. Tutto questo protagonismo e tanta energia contro i «dissidenti» produce però poco. Anche il terzo mese di vita del disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi si avvia alla conclusione e ancora in commissione non si vota. Gli emendamenti della relatrice Finocchiaro potrebbero vedere la luce tra la fine di questa settimana e l’inizio della prossima. Vengono definiti «di mediazione», ma significa che sono studiati per avere la maggioranza della commissione dopo che Renzi l’ha «ripulita» dai senatori orientati a votare contro.
Negli emendamenti il Titolo V è stato riportato a una formulazione quasi «federalista», che è poi quella all’origine dei problemi di oggi, ma bisognava tener dentro la Lega. Le funzioni del senato sono invece cresciute, tornano i poteri di controllo sul governo e la competenza sulla legislazione europea, come chiedevano diversi costituzionalisti. La novità però fa risaltare ancor di più la stranezza di una camera con funzioni legislative non eletta direttamente dai cittadini. È il nodo che il governo non riesce a sciogliere, malgrado i tanti vertici, ultimo quello di ieri sera dal premier con lo stato maggiore del Pd e i ministri Boschi e Delrio. Aver aggiustato gli equilibri in commissione non garantisce affatto una strada in discesa in aula, visto che i senatori «dissidenti» hanno ottenuto almeno la garanzia che l’articolo 67 della Costituzione e la possibilità di votare secondo coscienza sulle riforme non sono stati aboliti. Il gruppo – «bindiani», «civatiani» e non allineati – ripresenterà i suoi emendamenti in aula, alcuni dei quali assai popolari tra i senatori. Innanzitutto la diminuzione anche del numero dei deputati, poi l’elezione diretta di tutti i senatori (o di tutti tranne che dei presidenti di regione, senatori di diritto) e infine l’obbligatorietà del referendum confermativo.
Su questi punti Renzi non è affatto sicuro di avere una maggioranza senza l’appoggio di Forza Italia. «Sulla composizione del senato siamo fortemente in arretrato, c’è un nodo politico ancora irrisolto», ammette il sottosegretario alle riforme Pizzetti. Dunque tutto resta sospeso in attesa dell’incontro con l’ex Cavaliere, obbligato a restare nella partita eppure alleato sempre meno affidabile ogni giorno che passa. Oggi per esempio dovrebbe tenere una conferenza stampa per lanciare per l’ennesima volta il sistema semipresidenziale, l’eterno diversivo che già sul finire della scorsa legislatura (due anni fa) segnò la fine del tentativo di riformare la Costituzione. In che modo poi non è chiaro, se non con referendum propositivo, utile al più a dare uno scopo per l’estate a un’organizzazione alquanto depressa.
Oltre che di riforme, Renzi e Berlusconi dovranno parlare della legge elettorale, visto che il sistema fatto approvare dalla camera, anche lì con il richiamo all’ordine del governo al gruppo Pd, è ormai superato. Nel percorso di riscrittura dell’Italicum l’incognita è adesso l’atteggiamento dei 5 stelle. L’apertura al confronto di Grillo servirà a poco se resterà confinata nel perimetro stretto della proposta di legge grillina, un proporzionale con alte soglie di sbarramento che Renzi non vuole prendere in considerazione. Discorso diverso se il premier potesse in qualche modo fare conto sul sostegno dei senatori a 5 stelle a un sistema alternativo, per trattare con più forza con Forza Italia. In fondo appena sei mesi fa Renzi aveva messo nella rosa dei sistemi elettorali apprezzabili anche lo spagnolo e il Mattarellum.
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