Riforme, le “conseguenze” di Grasso
Renzi avverte: se il presidente apre agli emendamenti l’articolo 2 della legge di revisione costituzionale allora sapremo come regolarci. E la minaccia della fiducia o l'anticipo di una mossa per prendere in contropiede i dissidenti Pd, il cui voto in senato si conferma decisivo
Renzi avverte: se il presidente apre agli emendamenti l’articolo 2 della legge di revisione costituzionale allora sapremo come regolarci. E la minaccia della fiducia o l'anticipo di una mossa per prendere in contropiede i dissidenti Pd, il cui voto in senato si conferma decisivo
Nel primo giorno di dibattito generale sulla riforma costituzionale, il governo conquista 179 voti di senatori contrari alle questioni pregiudiziali che avrebbero affossato il disegno di legge. La maggioranza renziana si rallegra: i numeri per vincere il braccio di ferro sulla Costituzione sembrano esserci. Ma nel voto sulle pregiudiziali, così come nel voto di mercoledì sul calendario dei lavori d’aula, la minoranza Pd ha deciso di seguire la disciplina di partito: se invece i trenta bersaniani, cuperliani e bindiani confermassero l’intenzione di votare contro l’articolo 2, neanche il risultato di ieri mette al riparo il governo da una clamorosa sconfitta. La campagna acquisti dei senatori di centrodestra – contro la quale ieri si è alzata la voce del senatore Scilipoti, simbolo di tutti i trasformismi – mette Renzi nelle condizioni di tentare il colpo. Ma a deciderne il risultato sarà ancora una volta la fronda del Pd. Reggerà?
Renzi continua a preferire l’aggiramento dell’ostacolo. La pressione sul presidente del senato perché non ammetta gli emendamenti all’articolo 2 per l’elezione diretta dei senatori è continua. Ieri due giornali – Stampa e Corriere – hanno riferito di un «piano B» di Renzi: cancellare del tutto il senato (mantenendo però la legge iper maggioritaria per la camera) e trasformare palazzo Madama in un museo. Palazzo Chigi ha smentito l’indiscrezione «volgare e assurda», Renzi non l’avrebbe mai «pensata né riferita». Grasso non ha creduto alla smentita e in pubblico ha attaccato il metodo di «far trapelare la prospettiva che si possa addirittura fare a meno delle istituzioni relegandole in un museo». «Ora Grasso deve decidere», ripete lo stuolo dei renziani, che anzi spiegano la mossa di saltare la commissione con l’indecisione del presidente del senato: aveva detto che avrebbe fatto la sua scelta solo una volta in aula, bene eccoci in aula. «Sono giorni convulsi e i prossimi temo che saranno anche peggio», prevede Grasso. Renzi lo sfida apertamente: «Se riaprirà la questione dell’articolo 2 ascolteremo le motivazioni e decideremo di conseguenza».
Può essere la minaccia della questione di fiducia sull’articolo 2, contro tutti gli emendamenti «pericolosi» sul senato elettivo. Un azzardo che il sottosegretario Pizzetti ha categoricamente esclusa e un po’ tutti ritengono uno strappo eccessivo e improbabile – ma è quello che si pensava prima che il governo mettesse la fiducia sulle leggi delega e sulla riforma elettorale. Oppure significa che se Grasso deciderà di aprire agli emendamenti anche qualche altra parte dell’articolo 2 oltre al comma 5 che è stato toccato alla camera, Renzi cercherà di addomesticare la decisione proponendo una modifica che rinvii la decisione sull’indicazione dei senatori-consiglieri alla legge ordinaria. Si potrebbe inserire al comma successivo, il 6, dove attualmente c’è la previsione assai fumosa che i seggi sono attribuiti regione per regione «in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio».
Una qualche apertura del premier alle richieste delle opposizioni è inevitabile, purché non sia sul cuore del dissenso, l’elettività diretta dei senatori. Servirà ad addolcire il passaggio con la maggioranza, o l’uscita dall’aula, di alcuni decisivi senatori di minoranza. Concessioni saranno fatte sulle competenze del senato (allargate) e sull’elezione degli organi di garanzia, Corte costituzionale e presidente della Repubblica (la minoranza Pd ha i suoi emendamenti in materia). Per il resto Renzi si prepara al referendum confermativo previsto per le leggi di revisione costituzionale. Ieri ha annunciato l’ennesimo calendario – lettura conforme della camera sulla riforma a gennaio e referendum in estate o autunno – esagerando in ottimismo. Perché se la camera approvasse effettivamente a gennaio senza toccare una virgola del testo del senato, la seconda lettura sarebbe possibile solo dopo tre mesi, al più presto in aprile, e da allora andrebbero calcolati i sette mesi necessari per il referendum: al più presto si finirebbe a novembre 2016.
Quanto ai temi della campagna per il Sì, anche su questo Renzi ha fornito un’anticipazione: «Ai cittadini basta dire che con la riforma ci sono meno politici, le regioni hanno poteri più chiari, i consiglieri regionali prendono meno e il procedimento di legge è più semplice». Nulla di vero, dunque: le proposte di legge alternative che il premier ha rifiutato riducevano ulteriormente il numero dei parlamentari, tagliando anche i deputati; le regioni avranno meno poteri; il risparmio che doveva essere di un miliardo oscilla secondo i calcoli tra i 45 e i 90 milioni; il procedimento legislativo previsto dall’articolo 70 della Costituzione prima era descritto in una sola riga, adesso in più di cinquanta.
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