Riforme, il Nazareno è più forte degli annunci
In aula il patto sopravvive a se stesso. La minoranza del Pd chiede di cambiare l'Italicum, mentre la settimana prossima riprendono le votazioni sul disegno di legge costituzionale. Ma la ministra Boschi chiude: non si cambia niente
In aula il patto sopravvive a se stesso. La minoranza del Pd chiede di cambiare l'Italicum, mentre la settimana prossima riprendono le votazioni sul disegno di legge costituzionale. Ma la ministra Boschi chiude: non si cambia niente
«Contenti tutti». «Meglio così». «Sarà più facile» si compiacciono i colonnelli renziani della morte presunta del patto del Nazareno. Con troppo entusiasmo, fanno notare nella minoranza Pd, visto che quel patto era presentato come indispensabile per le riforme. Si prenota allora l’ala bersaniana: senza Berlusconi si potranno cambiare le riforme. Ma non è aria: andiamo avanti senza modifiche, chiude il discorso la ministra Boschi.
Revisione costituzionale e legge elettorale sono entrambe alla camera. La prima riparte martedì, con venti articoli e 1.600 emendamenti da votare. Tanti, ma i tempi (contingentati) sono in scadenza. Facile allora prevedere tensione in aula e appelli dell’opposizione al nuovo capo dello stato. Si affronteranno gli articoli sul Titolo V e poi sul procedimento legislativo, compresi i voti a data fissa e i decreti, ai quali ha fatta un significativo accenno nel suo discorso Mattarella.
La legge elettorale andrebbe calendarizzata in commissione a Montecitorio, dove non c’è molto spazio proprio per l’eccesso di decreti in scadenza. Se la rottura del Nazareno fosse vera, cadrebbe l’argomento con il quale Renzi ha difeso fin qui i capilista bloccati: «Li vuole Berlusconi». E infatti i bersaniani già chiedono di diminuire il numero di candidati «nominati», e di aumentando quelli scelti con le preferenze e di ridurre la dimensione dei collegi (che adesso sono quattro volte quelli del Mattarellum). La maggioranza senza Forza Italia ma con Sel e 5 stelle ci sarebbe. Ma «cambiare l’Italicum significherebbe affossarlo», ferma tutto Boschi. Quindi il patto vive due volte, oppure eleggere un centinaio di deputati senza preferenze piace anche a Renzi. C’è un problema, però: l’Italicum avrebbe bisogno di correzioni tecniche importanti, quelle che il Pd ha provato invano a far passare come «coordinamento», e modificarlo significherebbe farlo tornare al senato dove senza Forza Italia la maggioranza non c’è. L’unica alternativa è l’ennesima forzatura del governo: un decreto malgrado la Costituzione lo vieti in materia elettorale. E di nuovo si tornerebbe a guardare al Colle.
Difficile che Renzi riesca a far approvare il disegno di legge di revisione di quaranta articoli della Costituzione entro la prossima settimana. Ci proverà, e infatti sono previste votazioni fino a sabato. In tv irride i «partitini», poi non può smentire Alfano quando gongola: «Senza Forza Italia noi e l’Udc siamo tornati decisivi». Ma Forza Italia si sfilerà davvero? Pochi ci credono, e la formula «voteremo solo quello che ci convince» va letta ricordando quante volte Berlusconi ha parlato di queste come delle «sue» riforme.
E comunque nei numeri Renzi ha poco da temere, anche per questo si allarga. Non che nelle 421 votazioni che ci sono state in tutto il mese di gennaio la maggioranza abbia sempre brillato: più di una volta è scesa sotto la soglia della maggioranza assoluta, che pure sarà indispensabile nell’ultima lettura, e quasi sempre ha mancato il quorum dei due terzi. E dunque il referendum confermativo non sarà la gentile concessione annunciata da Renzi, ma un finale obbligato. A maggior ragione se Forza Italia si sfilasse sul serio.
In attesa di provare a cambiare l’Italicum, la minoranza Pd ha almeno un altro paio di battaglie da fare sulle riforme costituzionali: l’innalzamento del quorum per la dichiarazione dello stato di guerra (articolo 17) e la possibilità che anche l’Italicum sia sottoposto al vaglio preventivo della Consulta (articolo 13). Fin qui però i bersaniani non hanno mai votato contro, lo ha fatto solo Civati, preferendo più prudentemente non partecipare al voto. Confermassero questa scelta, Renzi avrebbe poco da temere. Anche nei passaggi più difficili, ad esempio sull’emendamento che ha reintrodotto i senatori di nomina presidenziale, i voti dei berlusconiani sono stati solo aggiuntivi. E anche quando Forza Italia ha annunciato che avrebbe dissentito dal Pd, è successo sull’elezione diretta del capo dello stato, a evitare problemi oltre la metà del gruppo azzurro è rimasta fuori dall’aula. Il Nazareno era già più forte degli annunci.
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