Politica

Riforma al via alla Camera. Lega e Fi promettono battaglia

Cittadinanza testo base approvato con i voti di Pd, Sel e Scelta civica. M5S si astiene. Si dimette la correlatrice Calabria (Fi)

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 5 agosto 2015

Dopo 24 disegni di legge presentati e mesi di discussioni infinite, alla fine forse ci siamo. Un testo unico di riforma della cittadinanza è stato votato ieri dalla commissione Affari costituzionali della Camera e può quindi cominciare il suo iter parlamentare. Che già si annuncia tutto in salita. La deputata forzista Annagrazia Calabria, correlatrice del testo in commissione insieme alla dem Marilena Fabbri, si è subito dimessa dal suo ruolo per «l’impossibilità – ha spiegato – di condividere il testo base». Avvisaglie di una battaglia che si preannuncia durissima e in cui Forza Italia e Lega già annunciano barricate pur di riuscire a bloccare il ddl, che comunque ieri ha superato i primo ostacolo passando con i voti di Pd, Ncd, Sel e Scelta civica e l’astensione del M5S. Adesso c’è tempo fino al 10 settembre per la presentazione degli emendamenti prima che la commissione cominci i suoi lavori.
Il testo sui cui si sta lavorando, e che modifica la vecchia legge 91/1992 sulla cittadinanza, è composto di soli due articoli che se approvati rappresenterebbero una piccola rivoluzione. Le nuove norme sono un mix tra uno ius soli temperato e uno ius culturae e si propongono di accelerare il riconoscimento della cittadinanza ai bambini stranieri che nascono nel nostro Paese e a quelli che vi arrivano. Per i primi è previsto che possano ottenere la cittadinanza se almeno uno dei due genitori sia residente legalmente in Italia, senza interruzione, da almeno cinque anni antecedenti la nascita. Ma anche se uno dei genitori sia nato in Italia e vi risieda da almeno un anno, legalmente e senza interruzioni.
I bambini che invece nascono in Italia ma i cui genitori non posseggono i requisiti richiesti, oppure coloro che arrivano nel nostro paese con un’età inferiore ai 12 anni, potranno avere la cittadinanza – su richiesta dei genitori – dopo aver «frequentato regolarmente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e qualifica professionale».
Entro due anni dal compimento del 18esimo anno di età potranno rinunciare alla cittadinanza purché ne siano in possesso di un’altra.
C’è infine il caso dei ragazzi più grandi, quelli che quando arrivano in Italia hanno tra i 12 e i 18 anni. Questi potranno diventare cittadini italiani solo dopo aver risieduto legalmente nel nostro Paese per almeno sei anni e se dopo aver frequentato un ciclo scolastico arrivando fino al conseguimento del titolo di studio.
«Abbiamo privilegiato i minori perché pensiamo che almeno per loro ormai i tempi siano maturi per riconoscere il diritto di cittadinanza», spiega la dem Marilena Fabbri. «La scelta di partire da quanti nascono nel nostro paese è una risposta alle esigenze che ci sono state avanzate dalle secondo e terze generazioni di immigrati che chiedevano un riconoscimento più veloce. La cittadinanza adesso è concepita come un diritto e non più come una concessione e non sono richiesti altri requisiti come il reddito».
Un percorso contestato da Forza Italia e Lega, per i quali invece la cittadinanza è qualcosa che l’immigrato deve conquistarsi. «La cittadinanza non è e non può essere uno strumento di integrazione -, ha spiegato nei giorni scorsi la forzista Annamaria Calabria motivando le sue dimissioni da correlatrice del testo – ma il riconoscimento di un percorso, il punto di arrivo, una conquista rispetto a una scelta voluta». Più categorico Maurizio Gasparri, che parla di regalo ai «clandestini» e promette: «la cittadinanza-lampo non passerà mai».
Sulla carta i numeri per arrivare all’approvazione del ddl ci sono. Anche se non hanno votato a favore, i grillini hanno infatti motivato l’astensione come un voto di apertura al testo in discussione, pur dicendosi convinti di avere a che fare con l’ennesimo provvedimento che probabilmente non vedrà mai la luce. Il che è anche possibile, vista la difficoltà con cui il parlamento si muove quando si parla di diritti.

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