Rifondare il pallone, la bellezza nasce dalla differenza
Sport L'Italia è fuori dai Mondiali ma è il paese ora ad essere specchio della Nazionale di calcio. E non viceversa
Sport L'Italia è fuori dai Mondiali ma è il paese ora ad essere specchio della Nazionale di calcio. E non viceversa
In questa epoca di clip e di meme, De Rossi in panchina che chiede perché debba entrare lui, visto che bisogna vincere e non pareggiare, e indica al suo posto Insigne, è l’immagine-movimento di una disfatta che non dimenticheremo mai. Per la prima volta dal lontano 1958, l’Italia non si qualifica al Mondiale. Se la decisione del c.t. Ventura di lasciare il nostro miglior talento a immalinconirsi in panchina per tutta la partita, dopo averlo fatto giocare mezz’ora fuori ruolo all’andata, è la scelta arrogante di un uomo allo sbando che ha deciso di fottere un intero paese, il suo. È anche vero che come sempre il pesce puzza dalla testa.
Dal mostruoso presidente federale Tavecchio al baldanzoso capo del Coni Malagò, che dopo averlo inizialmente osteggiato ha stretto con lui un patto scellerato con la mediazione di Letta (lo zio) e Lotti (il ministro). Evitiamo però il solito cambiare tutto perché non cambi nulla. Per risollevare le sorti di un movimento in ginocchio, agli ultimi due Mondiali siamo usciti ai gironi contro Nuova Zelanda e Costarica, non serve certo invocare il fascistissimo uomo della provvidenza. Dai nomi «nuovi» per la panchina – Allegri, Ancelotti, Conte – a quelli per la Figc – Abodi, Sibilia – stiamo sempre parlando di gente interna a questo sistema marcio.
È oggi più che mai necessaria la presa del Palazzo d’Inverno in cui da una decina di anni stanno arroccati personaggi interessati a spartirsi lo status quo dei diritti televisivi, mentre tutto sprofonda. Personaggi come Galliani, Moggi (credete davvero se ne sia andato?) e Lotito hanno gestito il pallone come cosa loro, e le presunte opposizioni si sono accontentate di restare a galla. Una rivoluzione che parta dal basso. Obbligo di destinare un decimo degli introiti allo sviluppo del calcio giovanile e alla costruzione di centri federali. Revisione totale della scellerata Legge Melandri sui diritti tv, che crea una sperequazione pazzesca.
Istituzione di un organo di controllo che impedisca a chi non è in regola (di solito 19 società su 20) di iscriversi al campionato, e fermi le compravendite fittizie dei giocatori, buone solo per riciclare denaro. Solo allora avrà senso tornare a discutere le scelte incomprensibili di un allenatore senza qualità – messo lì per volere di Lippi, prima di fuggire in Cina per evidente conflitto d’interessi con il figlio procuratore, abbandonandolo al suo destino – criticare i giocatori fuori ruolo, la difesa a tre contro una squadra che non attacca. Solo quando giornalisti, attori, politici, nani e ballerine non si scateneranno sui social network contro i troppi stranieri nel nostro campionato. Fingendo di non sapere che la percentuale è la stessa degli altri grandi campionati europei, o che la Germania è campione del mondo perché grazie allo Ius Soli può schierare una squadra multietnica e multicolore. La bellezza nasce nella differenza, muore nell’omologazione.
Non servono nomi nuovi in panchina o in federazione. È necessario sovvertire lo stato di cose esistenti. Ribellarsi ai muri che fermano l’arrivo di nuovi calciatori italiani, al decoro che impedisce ai ragazzini di giocare a pallone per strada. Perché in quest’epoca di immagine-movimento, è il paese Italia a essere specchio della Nazionale di calcio. E non viceversa.
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