Riflessioni su una generazione che non legge più
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Riflessioni su una generazione che non legge più

express. LA RUBRICA DELLA CULTURA CHE FA IL GIRO DEL MONDO Come si sa, i giovani leggono sempre meno. Di fronte a questo fenomeno c'è chi è ottimista e chi invece denuncia una perdita importante
Pubblicato circa un mese faEdizione del 3 ottobre 2024

Ammesso e non concesso che nel frattempo la specie umana non si sia estinta, è possibile o probabile che tra qualche migliaio di anni si penserà alla lettura come a una pratica bizzarra che per un periodo di tempo limitato ha avuto un certo effetto sulla società dell’homo sapiens ed è stata poi dismessa perché inutile e improduttiva.

In effetti, abituati come siamo a far coincidere la storia, anzi la Storia, con l’uso della scrittura, dimentichiamo spesso che alle spalle abbiamo un lunghissimo flusso temporale di felice e inconsapevole analfabetismo. Come felicemente analfabeti potranno essere gli umani del futuro, se la lettura e la scrittura saranno soppiantate da altri strumenti di comunicazione più rapidi e efficaci. Non vanno in fondo in questa direzione i chip di Neuralink in cui Elon Musk, così apprezzato dalla nostra presidente del consiglio, investe una parte non indifferente dei suoi molti denari?

Senza fare previsioni a lunga scadenza, possiamo però dire che sul futuro della lettura si scontrano oggi due partiti, ovviamente senza contare la stragrande maggioranza delle persone, del tutto indifferente alla questione. Da un lato i catastrofisti, che registrano con angoscia le statistiche secondo le quali ovunque nel mondo si legge sempre meno, e dall’altro gli ottimisti, riconoscibili per l’entusiasmo con cui accolgono i dati di vendita dell’ultimo romanzo romance subito netflixato o il numero di followers della booktoker di turno.

Evitano di schierarsi apertamente, anche se è facile intuire il loro pessimismo, Marie-Rose Sheinerman e Rose Horowitch, autrici di due articoli usciti quasi in contemporanea su Teen Vogue e The Atlantic, e dedicati entrambi a una specifica categoria di leggenti in declino, gli studenti universitari, sempre meno capaci di affrontare testi superiori alle dieci o venti pagine.
«Non esistono dati completi su questa tendenza, ma la maggior parte dei trentatré docenti con cui ho parlato racconta esperienze simili e in molti hanno già discusso del cambiamento in atto durante le riunioni di facoltà e nelle conversazioni con i colleghi» scrive Horowitch su The Atlantic. «Anthony Grafton, storico di Princeton, per esempio, dice che i suoi studenti arrivano al campus con un vocabolario più ristretto e una minore comprensione del linguaggio rispetto al passato e che, certo, qualcuno è ancora in grado di leggere in modo acuto, ma si tratta sempre più di eccezioni».

Testimonianze analoghe ha raccolto per Teen Vogue Sheinerman, giornalista freelance, lei stessa iscritta alla laurea magistrale di storia a Oxford: «Gli studenti oggi sono meno desiderosi di leggere, e sicuramente meno desiderosi di leggere scritti accademici», le ha detto fra gli altri John Edwin Mason, che insegna alla University of Virginia.
Impossibile stupirsene in un mondo eternamente distratto dai bip dei messaggi in arrivo, e anzi, «quello che sorprende – nota Casey Boyle, professore di scrittura alla University of Texas – è che pochi dei miei colleghi riconoscono che non è davvero colpa degli studenti, immersi in ecologie mediatiche che non esistevano quando avevamo la loro età».

Guardando alle interviste dell’Atlantic e di Teen Vogue (ma anche di tanti dialoghi nostrani), la maggior parte dei docenti si è arresa all’evidenza e ha diminuito le letture da assegnare. Ma Horovitch, chiudendo il suo articolo, ha un moto di ribellione: eh no, «per comprendere la condizione umana e apprezzare le più grandi conquiste del genere umano, è ancora necessario leggere l’Iliade, e per intero».

In quanti fra cento anni (e forse già oggi) saranno d’accordo con lei?

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