Ancora la guerra giusta. La teoria con la quale i teologi cristiani hanno neutralizzato i precetti nonviolenti e pacifisti dei Vangeli era stata superata nell’epoca degli Stati sovrani e a maggior ragione con la Carta Nazioni Unite, che vieta la stessa minaccia dell’uso della forza e riconosce il diritto alla legittima difesa solo fino all’intervento del Consiglio di Sicurezza. Nel 1966 Norberto Bobbio scriveva che la guerra è «l’antitesi del diritto come un terremoto o una tempesta». Tempesta nel deserto è il nome dato alla colossale operazione militare contro l’Iraq del 1991. Bobbio l’ha definita «una guerra giusta». «Giusta» nel senso di giuridicamente legittima, perché autorizzata dalle Nazioni unite.

Ma già dal 1977 Michael Walzer aveva resuscitato la teoria della guerra giusta come teoria morale, i cui principi sarebbero universalmente riconosciuti. I «buoni argomenti etici», secondo un’infelice espressione di Jürgen Habermas, sono stati utilizzati in favore dell’intervento della Nato contro la Jugoslavia nel 1999, privo di una qualsiasi giustificazione giuridica: una guerra di aggressione, ma definita addirittura «umanitaria».

Dopo l’11 settembre il cortocircuito fra principi morali presupposti universali e intervento militare si è chiuso. Nel documento sulla sicurezza nazionale del 2002 la Casa Bianca ha affermato che i valori di «libertà, democrazia e libera impresa» sono «veri e giusti per ogni persona, in ogni società» e per difenderli contro terroristi e Stati canaglia «our best defense is a good offense». Walzer aveva già esteso il significato di aggressione, includendovi la minaccia di aggressione e attribuendo un valore etico alla «legittima difesa preventiva». Su queste basi si è cercato di legittimare “l’invasione del tutto ingiustificata e brutale dell’Iraq”, secondo l’espressione sfuggita a George W. Bush in questi giorni. Ma neppure Barack Obama si è fatto mancare ampi riferimenti alla guerra giusta nel discorso di accettazione del Premio Nobel per la Pace (preventivo) nel 2009.

Oggi Walzer su Dissent – rivista storica della sinistra americana – come sul Wall Street Journal celebra la vitalità della sua teoria. E non si risparmia una predica ai «liberal europei», che sperano ancora di negoziare con Putin mentre quelli americani sono «rassegnati al fatto che ogni via d’uscita passi ormai dalla vittoria militare». Parole inquietanti a fronte delle 6000 testate nucleari detenute dalla Russia, mentre il suo presidente è diagnosticato come un criminale psicopatico. Comunque in questi decenni di moralizzazione e normalizzazione della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali Putin deve essersi familiarizzato con la teoria della guerra giusta. Nella propaganda russa l’«operazione militare speciale» è infatti presentata come un intervento preventivo contro il «genocidio» perpetrato dalle milizie ucraine sulla popolazione russofona del Donbass mentre il governo di Kiev è delegittimato come filo-nazista. E Putin potrebbe citare le pagine in cui Walzer dichiara che la guerra dei Sei Giorni scatenata da Israele nel 1966 era una guerra giusta a causa della pressione che veniva esercitata dai paesi arabi confinanti, lamentando gli aiuti militari all’Ucraina e l’«abbaiare alle porte della Russia» della Nato.

Trenta anni fa Danilo Zolo rivolgeva la sua critica più tagliente alla teoria di Walzer ma denunciava anche la struttura oligarchica delle Nazioni unite: «Un governo internazionale delle grandi potenze identico sotto il profilo costituzionale a quello della Santa Alleanza». Zolo auspicava un «pacifismo debole» basato sul riconoscimento della diversità e del mutamento che attribuiva un ruolo importante a «una costellazione di ‘regimi giuridici internazionali’», fra cui organizzazioni regionali come l’Unione europea. Oggi l’Ue e i suoi Stati membri cooperano nel sostegno militare all’Ucraina, danno il benvenuto alla sua richiesta di adesione, applicano importanti sanzioni economiche alla Russia, aumentano le spese militari. Solo di fronte a un nemico l’Europa riesce a trovare un’identità comune e a costituirsi come un soggetto geopolitico unitario? In realtà l’Europa rischia di smarrire i sui principi costitutivi, a cominciare dall’ispirazione pacifista e dalla protezione universale dei diritti.

La stessa risposta unitaria all’emergenza umanitaria permette agli Stati membri di discriminare i rifugiati ucraini (bianchi, e magari biondi) da quelli asiatici e africani, con tutte le loro sfumature di colore.
Di nuovo le parole di Zolo sono drammaticamente attuali:
«Si potrebbe sostenere che l’ordine mondiale dipenderà dalla capacità dell’Europa di essere ‘europea’ e cioè sempre meno atlantica e sempre meno occidentale L’emergere di grandi potenze regionali come l’India e la Cina rischia altrimenti di fare del Pacifico il nuovo epicentro egemonico del mondo, emarginando ancora una volta l’Europa, il Mediterraneo e i loro valori».

* Presidente di Jura Gentium.
Docente di filosofia del diritto