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Riduzione del danno, diritto esigibile

La Riduzione del Danno è un diritto. Non si tratta dello slogan del movimento che da 25 anni lavora per una politica di RdD in Italia. Si tratta di un […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 11 aprile 2018

La Riduzione del Danno è un diritto. Non si tratta dello slogan del movimento che da 25 anni lavora per una politica di RdD in Italia. Si tratta di un fatto: dal 2017 gli interventi di RdD sono parte dei Lea, i livelli essenziali di assistenza che, nel sistema sanitario nazionale, definiscono servizi e prestazioni a cui ogni cittadino ha diritto, in qualsiasi regione si trovi a vivere. Insomma, i LEA disegnano la mappa dei diritti (esigibili) alla salute. Un passo in avanti importante, rivendicato per anni da associazioni, operatori, regioni, almeno quelle che la RdD l’hanno inclusa nelle proprie strategie di intervento.

Dalla metà degli anni ’90 ad oggi la mappa della RdD in Italia è stata contrassegnata da profonde diseguaglianze: secondo il monitoraggio del Cnca, Coordinamento Comunità di Accoglienza (nella prolungata assenza di una mappatura istituzionale), su venti regioni solo sei possono vantare una costante e relativamente stabile politica di RdD, le altre o hanno interventi sporadici e discontinui, o non ne contano affatto. Anche in alcune regioni “virtuose”, poi, i servizi hanno spesso garanzie di copertura economica a tempo, di uno, due anni. Perché? Perché la politica governativa, dopo aver boicottato la RdD con i governi di centrodestra e il Dipartimento antidroga del tandem Giovanardi-Serpelloni, con gli esecutivi via via succedutisi non ha messo mano alla questione delle politiche nazionali sulle droghe: nessuna Conferenza nazionale che ridisegnasse un indirizzo adeguato e non ideologico, nessun Piano d’azione (fermo al 2010, un Piano fortemente contestato ai tempi da associazioni e regioni), blocco alle proposte di modifica della legge 309, nonostante un consistente e trasversale gruppo di parlamentari riformisti. E nessun atto che indirizzasse le politiche di RdD e soprattutto le sostenesse politicamente come un pilastro cruciale, come avviene nei Piani d’azione europei. Così le regioni sulla RdD hanno continuato a provvedere da sé: in modo virtuoso, alcune, poco o in nessun modo altre, e operatori e associazioni hanno continuato a portare avanti la loro battaglia, fatta di mobilitazione, di tenuta e di sperimentazione.

I Lea della RdD giungono qual buona novella in questo scenario stagnante, e sparigliano la partita. È passato però un anno: cosa è successo, nel frattempo? Poco. Quasi nulla, a livello governativo, fatto salvo il Piano Nazionale Aids che alla RdD esplicitamente si riferisce. La domanda di un tavolo per linee guida nazionali, portata dalle associazioni al Dipartimento Antidroga, non ha avuto alcun riscontro.

Per andare avanti, la rete delle associazioni per la RdD chiede alle regioni un dialogo e un confronto: l’appuntamento è a Torino, il 14 giugno, per una giornata di lavoro comune: per capire, insieme agli operatori del pubblico e del terzo settore, come fare dei Lea della RdD un diritto esigibile, base di una strategia e di un sistema di intervento che, pur nel rispetto delle autonomie regionali, stabilisca linee di indirizzo comuni. Le evidenze e le competenze su cui basare un sistema di RdD adeguato ed efficace sono oggi più che solide, e la ventennale esperienza in alcune regioni italiane è una base importante. Basta leggere i Lea relativi alla RdD elaborati dal gruppo ad hoc della regione Piemonte, per vedere un impianto coerente, concreto, sostenibile. Ciò che fino ad oggi è mancata è la volontà politica dei governi. L’alleanza – basata su decenni di collaborazione e lavoro comune – tra regioni, associazioni e settore pubblico ha le carte in regola per un deciso passo avanti.

Le info sull’evento di Torino del 14 giugno e i Lea RdD della Regione Piemonte on line su Fuoriluogo.it

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