Ridiamo valore al cibo
Se riusciamo a costruire processi di condivisione e partecipazione possiamo mettere i giganti multinazionali con le spalle al muro. Dietro al disegno della globalizzazione c’è un’ideologia che vuole una società […]
Se riusciamo a costruire processi di condivisione e partecipazione possiamo mettere i giganti multinazionali con le spalle al muro. Dietro al disegno della globalizzazione c’è un’ideologia che vuole una società […]
Se riusciamo a costruire processi di condivisione e partecipazione possiamo mettere i giganti multinazionali con le spalle al muro. Dietro al disegno della globalizzazione c’è un’ideologia che vuole una società dove il profitto è di pochi, dove il cibo viene prodotto in condizioni di sfruttamento dei lavoratori, di impoverimento degli stessi contadini, un disegno che vuole cittadini disattenti, indifferenti verso ciò che comprano, declassati al ruolo di meri consumatori che non si chiedono come è stata coltivata, raccolta e distribuita la mela che danno a merenda ai figli. È un’ideologia forte, un modello culturale imperante ma che possiamo scardinare. È su questo terreno che possiamo lavorare, facendo informazione, costruendo cultura, con la consapevolezza di essere in un mare in tempesta, ma che insieme possiamo raggiungere la riva».
Abbiamo incontrato Aboubakar Soumahoro, dirigente sindacale Usb impegnato a organizzare e dare voce ai braccianti agricoli, allo scorso Congresso di Slow Food Italia, quando i primi di luglio a Montecatini Terme la nostra associazione è stata chiamata a rinnovare impegno e direzione politica. La partecipazione di Aboubakar rappresenta appieno la nuova direzione di Slow Food, che si apre verso organizzazioni, singoli e comunità che combattono le nostre stesse battaglie. Come quella dello sfruttamento dei lavoratori che, sappiamo, in Italia può raggiungere la forma criminale del caporalato. Non abbiamo qui lo spazio per approfondire un fenomeno complesso che non si riduce al singolo reato, né ai miglioramenti che potrebbero essere apportati a una norma che, se ha il merito di aver finalmente formalizzato la responsabilità dell’illecito, resta monca, perché priva dei decreti attuativi (previsti dalla legge stessa) necessari all’accoglienza dei lavoratori stagionali, e delle risorse umane necessarie a fare quel lavoro di verifica che dia senso alla legge stessa.
Vorremmo però porre l’accento su questa complessità e invitare quantomeno alla riflessione con le parole di Soumahoro che sentiamo nostre: «Bisogna intervenire sulla filiera e non su un singolo anello. La verità è che il contadino, l’agricoltore, deve recuperare spazio e risorse perché strangolato dalla Grande distribuzione organizzata. Nella maggior parte dei casi, guarda verso il basso, all’ultimo anello della catena. E chi trova? I braccianti, i lavoratori». Che continueranno a essere deboli, esposti e ricattabili se il cibo che compriamo non riconquista il giusto valore.
Stiamo facendo quadrare i conti delle famiglie italiane grazie allo sfruttamento dei braccianti agricoli. Sappiamo tutti chi ci guadagna davvero
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