Ricordare tra i sogni
Cartelli di strada Sono i sogni a soccorrere la memoria. Tutto il giorno per un’amnesia temporanea a scervellarci su qualcuno che conosciamo, ma perso di vista, il cui nome tentenna sulla punta della […]
Cartelli di strada Sono i sogni a soccorrere la memoria. Tutto il giorno per un’amnesia temporanea a scervellarci su qualcuno che conosciamo, ma perso di vista, il cui nome tentenna sulla punta della […]
Sono i sogni a soccorrere la memoria. Tutto il giorno per un’amnesia temporanea a scervellarci su qualcuno che conosciamo, ma perso di vista, il cui nome tentenna sulla punta della lingua. Non si tratta di nomi inusuali, fuori dal comune, che invece proprio perché tali terremmo ben presenti, bensì di nomi diffusissimi e perciò più probabili da confondere e far corrispondere alle persone cui appartengono; che non vediamo da anni. L’assillo ce lo portavamo a letto. E si finiva che lo sognavamo, quel qualcuno, sentendone pronunciare anche il nome che fissavamo in mente chiaro e preciso. I sogni ci parlavano, e noi li recepivamo. Risultava essenziale, poi, ricordarseli durante il giorno. Mentre, solitamente, sono i sogni del mattino a essere meglio ricordati, gli ultimi prima di svegliarsi, a noi succedeva l’incontrario, ricordando nitidi quelli del primo sonno, dopo appena coricati. Sognavamo tanto altro, come capita a chiunque. Però era il primo a restare impresso, aderente alla mente. Insomma, il primo ‘sogno’ non si scorda mai. Appena scesi dal letto si ricorreva al foglietto e alla penna, già riposti sul comodino, per vergare in una riga l’oggetto del sogno. Il resto della sua trama, strampalata come in ogni sogno, veniva fuori da sé. Anche se, raccontandolo, ogni volta variava, la sua versione differiva dalla precedente e da quella che sarebbe succeduta. Tuttavia il nome della persona sognata restava ormai ben fissato. Il problema era un altro e si poneva quando ci veniva in mente qualcuno, il cui nome scordato riemergeva nel sogno, che non vedevamo da una vita pur risiedendo nella stessa città. Magari in strada l’avevamo già incrociato, ma avremmo stentato a riconoscerlo a causa delle naturali trasformazioni fisiche sopportate dal corpo e che in certi casi risultano vistose: lasciatolo smilzo un paio di decenni prima, da pessimi fisionomisti non lo avremmo certamente identificato con due o tre decine di chili in più. E poi i volti femminili, specialmente quelli propri di ragazze pretenziose per bellezza che, per contrappeso, prima degli altri avvizzivano, segnati dalla crudeltà del correre del tempo. Pertanto il nome della persona recuperato grazie al sogno serviva solo per rievocare confusi brandelli di esperienze, così lontani, che a malapena ravvisavamo come facenti parte del nostro vissuto. Chi avremmo potuto chiamare non essendo più in grado di associarlo alla persona che in un determinato periodo avevamo frequentato? Nomi che, altre volte, non avevamo avuto neppure il coraggio di pronunciare, perché non ci reputavamo all’altezza di ragazze da sogno. Che in nome dell’antica bellezza, per scongiurare gli incubi incombenti della realtà, richiedono di essere lasciate intatte nel ricordo di un sogno.
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