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Riconoscere lo Stato di Palestina, la sua urgenza le sue ragioni

Riconoscere lo Stato di Palestina, la sua urgenza le sue ragioni

L'appello Non è più sufficiente esprimere la condanna della violenza o fare il dovuto appello ai principi ed ai valori, se poi nei fatti non vi è un’azione conseguente e coerente. Perché non riconoscere ufficialmente lo Stato di Palestina? Cosa impedisce di portare a compimento la soluzione dei «due Stati per i due popoli», sulla base delle risoluzioni delle Nazioni Unite e dell’Accordo di Oslo, naufragato ma tutt’ora vigente?

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 25 maggio 2021

Lettera indirizzata a:

Enrico Letta, Partito Democratico, Nicola Fratojanni, Sinistra Italiana, Matteo Renzi, Italia Viva, Roberto Speranza, Articolo 1, MDP, Maurizio Acerbo, Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, Angelo Bonelli, Federazione dei Verdi, Giuseppe Conte, Movimento 5 Stelle, Vito Crimi, Movimento 5 Stelle, Benedetto Della Vedova, Più Europa, Silvio Berlusconi, Forza Italia

Condannare la violenza e dire due stati per due popoli non basta, bisogna riconoscere lo Stato di Palestina per disinnescare odio e violenze.
Ciò che sta accadendo a Gerusalemme, nelle città israeliane e nelle città e nei villaggi palestinesi, nella Striscia di Gaza, è l’ennesima ondata di violenza che si ripete da quasi un secolo. Ogni volta da tutti condannata, ma spenti i riflettori sugli scontri, sui missili lanciati, fatta la conta dei morti e feriti, torna il silenzio, gli organi di informazione tacciono, la politica ha altro a cui pensare. Tutto torna come prima, in attesa della prossima esplosione. Come prima non significa la fine del conflitto, la soluzione delle cause, il trionfo della giustizia e del diritto, ma il protrarsi di una situazione irrisolta, con un popolo che ha ottenuto il diritto di vivere in un proprio Stato sovrano ed indipendente, Israele, ed un altro popolo, che non ha uno Stato, e vive sotto occupazione, governato da un’autorità con poteri limitati e dipendente dalla forza occupante. In queste condizioni i palestinesi, vivono quotidianamente ed in ogni momento della loro vita vessazioni, umiliazioni, discriminazioni, restrizioni delle libertà, demolizioni ed espropri.

È così dalla nascita dello stato d’Israele (1948) con una storia di fatti ed eventi che continua tutt’oggi e che non ha trovato soluzione, nonostante che, con il riconoscimento dello Stato d’Israele da parte dell’Onu (1949), il riconoscimento d’Israele da parte dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (1988), gli Accordi di Oslo (1993-95) sottoscritti dalle parti, ed il nutrito pacchetto di risoluzioni Onu, vi sia il quadro di riferimento giuridico necessario per dar corso al riconoscimento dello Stato di Palestina ed uscire da questo limbo che provoca solamente violenza, sofferenze ed insicurezza. Non sono bastate la I e la II Intifada, la stagione del terrorismo, le operazioni militari succedutesi nella Striscia di Gaza, a far comprendere alla comunità internazionale che la spirale di violenza tra Israele ed i palestinesi si può fermare solamente con l’applicazione di quello che tutti quanti evocano “la soluzione dei due stati per i due popoli” ma che poi non si applica, adducendo scuse e ragioni che stridono con il diritto internazionale e demoliscono via via la speranza della pace e le aspirazioni di autodeterminazione del popolo palestinese.

Una soluzione che era prevista già all’origine del conflitto, quando nel 1947 la risoluzione delle Nazioni Unite (181/1947), nota come «il piano di partizione», indicava nella divisione della Palestina originaria in due parti, la soluzione che avrebbe consentito al popolo ebraico di avere un proprio Stato, ed al popolo palestinese di ricomporsi e di dotarsi, anch’esso, di un proprio stato. Ci è voluto quasi mezzo secolo affinché le due parti trovassero l’accordo (Accordi di Oslo; 1993-95) con un piano che in cinque anni prevedeva la nascita dello Stato di Palestina. Ma la storia è andata diversamente; l’assassinio del Primo Ministro Rabin per mano di un fanatico israeliano, errori, resistenze, inadempimenti, hanno messo su di un binario morto il processo di pace. La comunità internazionale ha inciso poco pur sostenendo il processo di pace, nella speranza di un accordo tra le parti, aiutando a sostenere i costi dell’occupazione, il mantenimento della gestione amministrativa palestinese, le continue ricostruzioni, l’assistenza umanitaria.

Di fatto ha consentito che si consolidasse uno status quo funzionale ed utilizzato ripetutamente dai governi israeliani per occupare, metro dopo metro, il territorio palestinese, costruendo insediamenti ebraici, il muro di separazione oltre la linea verde stabilita come confine tra i due stati prima della guerra del 1967, con un piano chiaro e noto al mondo intero di annessione della parte est di Gerusalemme e di altri territori della Cisgiordania, con una strategia di isolamento e frammentazione del territorio, della popolazione e dei villaggi palestinesi rendendo così impossibile la loro vita e la prospettiva di futuro.

Questa strategia, come era prevedibile, ha cambiato le due società. Ha aperto la strada alla radicalizzazione e la corruzione di ampi settori di entrambe le società. Senza più la speranza della pace giusta, del riconoscimento dei diritti e delle libertà, in entrambe le società, sono emerse le spinte più reazionarie, fanatismo religioso e fondamentalismo da entrambe le parti, restringimento degli spazi democratici e militarizzazione delle società, tenendo sempre la democrazia sotto il ricatto della «sicurezza nazionale». Una spirale autodistruttiva dove nessuno è più sicuro, e dove la violenza può esplodere in ogni luogo ed in ogni momento, come è accaduto in tutti questi anni e come sta accadendo in questi giorni ed in queste ore.

Avendo presente questa storia, il coinvolgimento e l’importanza che questa storia ha per il nostro Paese, per il ruolo e la posizione dell’Italia in Europa e nel Mediterraneo, è triste vedere come, in questi giorni, di fronte all’ennesima esplosione di violenza, la politica ed i mezzi di comunicazione riducano il tutto al fatto contingente, ai razzi lanciati da Gaza contro Israele e quindi tutti a difendere il diritto di difesa di Israele, in una corsa a chi è più vicino e più difensore dell’amico ed alleato.

Certo che l’azione di Hamas e dei gruppi della jihad islamica che da Gaza lanciano missili sulle città d’Israele e su Gerusalemme sono da condannare, senza se e senza ma. Perché la soluzione armata, militare, violenta è sempre sbagliata, nega le ragioni del diritto ed esalta la prepotenza, è solo foriera di morti, distruzioni e sofferenze. Inoltre, nel caso specifico, va contro le ragioni, le legittime rivendicazioni, le proteste dei palestinesi che rivendicano i propri diritti e che si debbono difendere dalle azioni intimidatorie e le violenze dei gruppi dei coloni radicali, xenofobi e razzisti che operano a Gerusalemme e che trovano spazio e sostegno nella destra israeliana.

Dalla politica e dalle istituzioni, ci aspettiamo tutt’altra analisi e presa di posizione. Non è più sufficiente esprimere la condanna della violenza o fare il dovuto appello ai principi ed ai valori, se poi nei fatti non vi è un’azione conseguente e coerente. Perché non riconoscere ufficialmente lo Stato di Palestina? Cosa impedisce di portare a compimento la soluzione dei «due Stati per i due popoli», sulla base delle risoluzioni delle Nazioni Unite e dell’Accordo di Oslo, naufragato ma tutt’ora vigente ?

Solo così, si dà senso e sostanza all’impegno per la pace, restituendo speranza e prospettiva a israeliani e palestinesi che vogliono vivere in pace, lavorare senza umiliazioni, non avere più paura di dover subire le vessazioni quotidiane, esercitare i propri diritti politici e civili in modo libero e
democratico. Si romperebbe lo status quo e quella terribile normalità che causa radicalizzazione, odio e violenza, ridando spazio e voce a chi invece è per la pace, per il rispetto dell’altro, per la convivenza.

Questo chiediamo alle istituzioni del nostro paese, di agire con coraggio e con responsabilità, affiancando Svezia e Vaticano, nel riconoscimento dello stato dei palestinesi, al fianco dello stato d’Israele, spingendo gli altri stati membri dell’Unione Europea a fare altrettanto. Solo così, si potrà
riprendere la strada della convivenza e della sicurezza in Medio Oriente. Una strada molto difficile ed irta di ostacoli, che ha bisogno dell’impegno di tutti, dell’azione politica e diplomatica fondata sul diritto internazionale e sul multilateralismo proprio delle Nazioni Unite, e mai più sull’uso delle
armi e delle guerre.

Costruiamo insieme una grande iniziativa europea per il riconoscimento dello stato di Palestina, uniamo le forze democratiche, progressiste, europee per far sì che la soluzione dei “due stati” sia realtà, lavoriamo insieme per costruire la pace giusta tra i due popoli di Israele e di Palestina.

Roma, 17 maggio 2021

Firmatari:

Maurizio Landini Segretario Generale CGIL
Luigi Sbarra, Segretario Generale CISL
Paolo Bombardieri, Segretario Generale UIL
Gianfranco Pagliarulo, Presidente ANPI
Emiliano Manfredonia, Presidente ACLI
Francesca Chiavacci, Presidente ARCI
Stefano Ciafani, Presidente LEGAMBIENTE
Luigi Ciotti Presidente Gruppo Abele – Libera

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