Poco più che sessantenne, Richard Powers appartiene a pieno titolo a quella grande tradizione sperimentale che, da maestri del postmoderno come Pynchon e DeLillo fino ai più temerari innovatori della fine dello scorso millennio, William Vollmann e David Foster Wallace, ha sempre concepito la scrittura come evento dialogico, confronto con un lettore che è chiamato a scoprire e spesso «inventare» il senso dell’opera che ha davanti. Reduce da studi scientifici e letterari e da una precoce esperienza di programmatore informatico, Powers ha scritto tredici romanzi in poco più di trent’anni, confrontandosi con molti dei temi su cui rischia di giocarsi...