Londra inietta il Coronavirus in centinaia di volontari
In Gb l’esperimento per accelerare i tempi di verifica del vaccino. Ma il rischio è alto. La campagna «1 day sooner» ha raccolto 38 mila adesioni in 166 Paesi del mondo
In Gb l’esperimento per accelerare i tempi di verifica del vaccino. Ma il rischio è alto. La campagna «1 day sooner» ha raccolto 38 mila adesioni in 166 Paesi del mondo
Josh Morrison è un giovane avvocato ventiseienne con una laurea ad Harvard quando, nel 2011, decide di donare un rene a uno sconosciuto. Tre anni dopo, Morrison lascia lo studio e fonda Waitlist Zero, un’impresa no-profit che sostiene le donazioni e i trapianti di rene. Quando arriva la pandemia del Covid, Morrison si chiede di nuovo come mettere il proprio corpo a disposizione dei pazienti. Insieme a Sophie Rose, una studentessa ventiduenne dell’università di Stanford, a marzo Morrison lancia la campagna «1 Day Sooner» (Un giorno prima), che raccoglie volontari disposti a inocularsi il coronavirus e mettere alla prova i vaccini sperimentali. In pochi mesi, la campagna raccoglie 38 mila adesioni in 166 paesi da parte di volontari sani disposti a rischiare la vita pur di accelerare la ricerca di un vaccino.
SI CHIAMANO «Human Challenge Trials» e fino ad oggi, nessuno ne aveva effettuati per i vaccini anti-Covid. Quando erano stati proposti per lottare contro il virus Zika, i rischi erano stati ritenuti troppo elevati. Ma secondo quanto rivela il Financial Times, il Regno Unito sta per avviare uno studio clinico basato proprio sull’infezione deliberata di un gruppo di adulti vaccinati. I test dovrebbero iniziare in gennaio e riguarderanno solo alcune centinaia di volontari cui verrà somministrato prima il vaccino e poi, circa un mese dopo, il coronavirus. È probabile che i volontari siano reclutati proprio tra i duemila aderenti inglesi alla campagna «1 Day Sooner», coordinata a localmente dall’appena diciottenne Alastair Fraser-Urquhart. «Con la necessaria preparazione e le autorizzazioni del caso, condurre uno “human challenge trial” (così si chiamano questi particolarissimi test, ndr) richiederebbe solo due mesi», scrivono i fautori della proposta.
LA CAMPAGNA ha ricevuto il supporto di nomi importanti dell’epidemiologia e della bioetica nel mondo anglosassone, come l’epidemiologo Marc Lipsitch e il bioeticista Nir Eyal. «Si potrebbe pensare che chi partecipa volontariamente a questi studi manchi di capacità di decisione razionale o non ha compreso bene il modulo necessario al consenso informato – ha scritto Eyal su Nature – ma gli esseri umani fanno molte cose importanti per altruismo». Inoltre, i test comportano dei rischi ma ne riducono altri. «Quindi la partecipazione ai test può essere una scelta razionale, anche da un punto di vista egoistico».
D’altronde, i test non rappresenterebbero una novità assoluta. Il pioniere delle vaccinazioni, l’inglese Edward Jenner, infettò deliberatamente il figlio del suo giardiniere con il vaiolo bovino per verificarne il potenziale protettivo contro quello umano. E diversi vaccini recenti, come quelli contro tifo, colera, malaria e influenza sono passati attraverso questi test. I volontari inglesi infettati con il virus influenzale a scopo sperimentale hanno ricevuto un compenso di 3750 sterline (4100 euro). Per il coronavirus la retribuzione sarà maggiore a causa del lungo isolamento dei volontari.
Gli «human challenge trial» sollevano anche molti dubbi. Myron Levine, vaccinologo all’università del Maryland, ha già effettuato studi di questo tipo su colera e malaria. Ma, dice al sito StatNews, «è necessario disporre di una terapia prima di intraprendere questi test». E una vera cura per il Covid-19 non esiste.
SEMPRE SU StatNews Michael Rosenblatt, ex-preside della facoltà di medicina alla Tuft University, sostiene che per un consenso informato occorre davvero conoscere i rischi, «ma questo è impossibile per una nuova malattia». Inizialmente il Covid-19 è stato considerato una malattia principalmente respiratoria. Con il passare del tempo, sono emersi anche i rischi per reni, cuore e sistema nervoso. «Non sappiamo nulla sui rischi a lungo termine perché la malattia circola da pochi mesi. Nessun volontario potrà dare un consenso davvero informato». Inoltre, sottolinea Rosenblatt, i volontari dei test saranno giovani adulti tra i 20 e i 45 anni di età, mentre il vaccino dovrebbe essere efficace soprattutto nelle categorie a rischio Covid-19, come gli anziani, che però tendono ad avere una risposta immunitaria inferiore. «I volontari potrebbero finire con il rischiare la vita senza aiutare davvero chi ha bisogno di un vaccino».
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