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Ricerca concettuale al Mercato Centrale

Ricerca concettuale al Mercato Centrale

Grafica Urbana Un grafico alla ricerca di belle cose da vedere talvolta viene sorpreso in positivo

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 11 novembre 2017

Un grafico alla ricerca di belle cose da vedere talvolta viene sorpreso in positivo. All’interno della Stazione Termini di Roma, nell’ala mazzoniana si è aperto, più di un anno fa, il Mercato Centrale. Si tratta di un ambiente enorme, sormontato da una cappa monumentale in marmo. In questa sala, anni fa, c’era la mensa dei ferrovieri, ci si mangiava una volta e ci si torna a mangiare adesso. La comunicazione grafica dell’agenzia Almagreal di Giulia Reali è corretta e ben ridotta all’osso: tre colori, bianco, nero e rosso e un segno, uno scarabocchio che serve a enfatizzare, nascondere, identificare, un solo carattere che assomiglia al Futura che Paul Renner disegnò nel 1927. Uno smacco per gli amanti dell’orpello, per gli ultras del photoshop, per i maghi della sfumatura. Qui è la sostanza che parla, quella che prevede uno studio, una ricerca del concetto, un’idea che non sia la solita trovata. Nella sala la comunicazione è esplicativa e funzionale, si trova subito quel che si cerca, chi lo produce, quanto costa, come viene fatto. Le informazioni sono giocose ma non accattivanti, si cerca di spiegare piuttosto che di calamitare. D’altra parte una volta entrati in questa magnifica cornice post-industriale è difficile andar via: la calamita è il luogo stesso. La parte che concettualmente colpisce di più è la cancellatura di alcune frasi che, per contrasto, esaltano la parte leggibile. Qui il parallelo sorge immediato: a sinistra il manifesto del Mercato Centrale e a destra una delle opere di Emilio Isgrò. L’artista inizia le sue cancellature nella metà degli anni ’60 all’epoca della guerra del Vietnam, ispirato dai bonzi che si davano fuoco nelle piazze, annullandosi ed esponendosi al contempo. Quindi la cancellatura come segno della propria presenza: «Penso quindi brucio». Isgrò pensava che cancellando avrebbe avuto modo di salvare l’uomo e l’artista. Era un gesto dissacratorio: lasciando solo ciò che voleva si leggesse, da un lato sbeffeggiava il testo nascosto, dall’altro se ne riappropriava esprimendo un significato nuovo. Mi piace pensare che il parallelo tra le due cose sia stato preso in considerazione da chi ha progettato la grafica di questo luogo, ma anche se così non fosse non è importante. Chi lo ha fatto, anche se con motivi diversi, ne ha colto la possibilità, lo spirito. Una pecca la devo segnalare: gli schermi all’interno della sala sono ossessivi. Per qualche minuto il cliente è curioso. Dopo un po’ la ripetizione dei video infastidisce e, visto che non c’è modo di non osservarli, essendo ovunque, la sensazione è sgradevole.

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