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Ricchezza della cultura miseria della politica

Divano La rubrica settimanale di cultura e società. A cura di Alberto Olivetti
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 26 agosto 2022

All’aprirsi del Novecento la soluzione totalitaria (riconoscibile fin dagli esordi dello Stato unitario) si propone con rinnovato vigore. Appare adeguata a conferire coerenza politica alle diffuse istanze di trasformazione e di rinnovamento, e capace di affrontare le ingenti, tumultuose contraddizioni della società italiana. Alla conclusione della Grande Guerra, esse si disporranno secondo nuove dinamiche, che premono verso nuovi assetti. La monarchia, allora, decide senz’altro per la scelta totalitaria. Affida nel 1922 a Benito Mussolini, segretario del Partito Nazionale Fascista costituito nel novembre del 1921, il compito di annullare con la violenza la democrazia parlamentare e instaurare un regime dittatoriale. La conduzione totalitaria consegue sensibili mutazioni (rilevanti alcune sul piano sociale, altre sconvolgenti e ignobili come le disposizioni antisemite).

La condotta militarista (non sgradita ai Savoia) e la dissennata e irresponsabile (ma costante e costitutiva del regime) vocazione e pratica bellicista portano all’annunciato disastro, con l’entrata dell’Italia impreparata, nel conflitto mondiale ed alla tragedia della guerra civile.

Non potrà dirsi improprio, allora, il considerare la Costituzione della Repubblica Italiana promulgata il 27 dicembre del 1947 la puntuale e matura critica delle culture totalitarie e una loro motivata, decisa e formalizzata repulsa, ragionata al cospetto di così drammatici fallimenti. Critica dunque che sta a fondamento della cultura (non solo la cultura che pertiene agli studi di diritto, ma quella che informa di sé gli elementi fondanti d’una educazione politica) espressa nella Carta.

Nel dicembre del 1948, nel primo anno della sua entrata in vigore, Piero Calamandrei, allorché attendeva alla stampa di un Commentario alla Costituzione compilato sotto la direzione di Alessandro Levi e sua, nella Prefazione che stende al Commento analitico della Costituzione ad opera di Gastone Baschieri, Luigi Bianchi d’Espinosa e Carlo Giannattasio, additava come avviato il compito di illustrare e diffondere l’esatta conoscenza della Costituzione, «soprattutto nell’interesse della educazione politica dei cittadini, nei quali è ancora quasi interamente da creare quella consapevolezza dei propri diritti e dei propri doveri pubblici, e quell’impegno morale di difendere ad ogni costo la propria libertà e insieme di rispettare le libertà altrui, senza il quale non può esistere vitale democrazia».

In quel medesimo anno 1948 uno dei più fini tra gli intellettuali che avevano aderito dall’origine al fascismo, Camillo Pellizzi, redigeva il suo Una rivoluzione mancata, ricco, colto, lucido consuntivo critico di quella sua intensa esperienza politica e culturale (‘senza insulti e senza retorica’ come si leggeva nella fascetta editoriale del volume stampato da Longanesi).
Anno 1948, l’anno della Costituzione. Mi fermo ai due nomi di Calamandrei e Pellizzi. Nomi esemplari, ai miei occhi, di fertili riflessioni sui casi dell’Italia quando il paese si emancipa, ad altissimo prezzo, dal totalitarismo e dalla monarchia e si fa repubblica parlamentare.

La vicenda italiana tra 1914 e 1945 ha, da allora, con crescente acquisizione di giudizio e di consapevolezza critica, impegnato la cultura del nostro paese. Nascono da una forte passione civile alcune tra le opere più significative della letteratura e della poesia, così come parallelamente avviene nell’ambito delle arti figurative. Ma è poi nella ricerca storica e nella riflessione filosofica che si sono acquisiti risultati considerevoli riguardo alla crisi della democrazia liberale, all’affermarsi del fascismo. Per quanto concerne la ricerca storica, mi limito a richiamare l’opera, elaborata nel corso di un trentennio di ricerche tra 1965 e 1997, di Renzo De Felice, gli otto volumi dedicati alla figura di Mussolini; e al fondamentale studio di Claudio Pavone Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, apparso nel 1991.

Di questa cultura, di questo patrimonio civile perché non ritrovo traccia, mi chiedo, nella politica che si accende in una competizione elettorale ristretta nel rimpallo fascismo-antifascismo?

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