Riccardo III è una «vecchia conoscenza», perfino quasi familiare per ogni spettatore. Forse uno dei personaggi in assoluto più celebri (quasi come Romeo e Giulietta) di quelli scolpiti e immortalati dal genio di Shakespeare. Forse proprio perché è uno dei più contraddittori: assetato di potere, disposto a ogni nefandezza per raggiungerlo, e poi vittima della sua stessa ambizione malata. Non meno note restano alcune sue espressioni immortali: «Un cavallo, il mio regno per un cavallo», o ancor di più lo stracitato «inverno del nostro scontento», usato spesso anche a sproposito.
È la tragedia dell’ambizione politica la sua, senza limiti e senza scrupoli, cui lui stesso alla fine, deve «sacrificarsi». Un modello insomma che il sommo poeta inglese traeva dalle lotte per la corona inglese dopo la Guerra delle due rose (avvenimenti di un secolo circa precedenti a quella scrittura), ma che con facilità si può rintracciare vivo e diffuso ancora oggi, su qualsiasi notiziario da tante parti del mondo.

PROBABILMENTE è stata ancora questa «continuità» storica a spingere la regista ungherese Kriszta Székely a darne una rilettura tra lo storico e il contemporaneo, nella nuova produzione dello stabile di Torino teatro nazionale, cui ella stessa è associata già da qualche tempo. Lei viene dal teatro Katona di Budapest (una istituzione ben nota al pubblico italiano per gli spettacoli d’autore che hanno girato qualche anno fa anche da noi: un nome per tutti il genio di Tamas Ascher). Non è un caso quindi che dal paese di Orbán continuino ad arrivare, oggi ancor più di ieri, spettacoli che attingendo alla cultura del passato paiono fatti apposta per interrogarci sull’oggi.
Questo spettacolo (appena andato in palcoscenico al Carignano di Torino, il cui stabile l’ha prodotto assieme a Bolzano e a Emilia Romagna Teatro), continuerà la sua intensa tournée per questa stagione, dall’Elfo di Milano dove approda martedì, fino a Roma a maggio – anche qui curiosamente in un teatro «privato», una settimana al Quirino, sia detto per pura constatazione e senza alcun intento polemico.

La redazione consiglia:
Kriszta Szekely: «il palcoscenico fa ancora paura al potere»Lo spettacolo da parte sua, oltre alla regia di Székely che accentua i diretti riferimenti all’oggi, ha una forza motrice irresistibile nel protagonista, Paolo Pierobon, che è appunto Riccardo III. Un attore duttile e potente, cresciuto in misura esponenziale negli ultimi e complessi spettacoli ronconiani, ma capace di incidere profondamente anche sullo schermo (è lui il prelato che per conto del papa cerca la trattativa con le Br nel film di Bellocchio sul rapimento Moro, Esterno notte). Qui è lui più di tutti a dar forza alle tesi che sgorgano spontanee dal lavoro della regista. I suoi alti e bassi umorali, la sua lucidità criminale, la sua adulatoria e insieme sprezzante «carineria» verso il groviglio di mogli, amanti, alleate e nemiche, ma tutte votate alla delusione se non alla morte, costituiscono un esercizio di alta classe, ininterrotto, con fughe precipitose all’interno della propria psiche ogni qual volta quel re sanguinario si accorge di aver fatto male i suoi conti. E un complimento particolare va fatto a Manuela Kustermann, che torna in scena in un ruolo forte, oggi che si può considerare in qualche modo come non sanguinaria «regina madre» dell’avanguardia teatrale italiana dagli anni 70. Nel composito cast ci sono attori già noti e apprezzati, da Bolo Rossini a Nicola Pannelli, insieme ad altri che promettono una già acquisita professionalità.

MA LA CIFRA più forte è quella unitaria, che la regia di Kriszta Székely persegue con forza. Lei mostra di conoscere a fondo i meccanismi di quell’aggrovigliato microcosmo di potere, dove sotto la difesa della «tradizione» c’è il sovranismo, e dove una «giustizia» solo apparente copre i peggiori misfatti. E tanta è la sua passione, che non si preoccupa se a tratti (ma solo a tratti) il ritmo dello spettacolo rischia di allentarsi, o farsi troppo tortuoso.
Quei meccanismi sono oggi ormai patrimonio di coscienza comune, tanto da ridare alla follia provocatoria ed «egoista» di Riccardo delle chiavi di spiegazione semplici e sperimentate, tanto spesso vengono ancora oggi applicate: guerre di potere, di gerarchia, di pura autoaffermazione, quando non di invasione militare. Fa impressione trovarle già scritte e documentate da Shakespeare tanti secoli fa, e messe a nudo oggi da una regista e da una compagnia che del mondo sembrano aver capito molte cose, anche le peggiori.