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Ricardo Piglia, a colpi di intuito nella pampa quieta

Ricardo Piglia, a colpi di intuito nella pampa quietaJean Hélion, «Projet de plafond», 1933

Gialli argentini Norme codificate e stilemi polizieschi vengono sovvertiti per raccontare «I casi del commissario Croce», il cui protagonista somiglia a un filosofo in stile gaucho: da Sur

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 8 dicembre 2019

«Si vive per scrivere, a mio parere. La scrittura è una delle esperienze più intense che abbia mai conosciuto. La più intensa, mi dico a volte. È un incontro con la passione, e perciò possiede la stessa struttura della vita»: così Ricardo Piglia – scrittore, sceneggiatore di film e fumetti (indimenticabile, l’antologia La Argentina en pedazos, del 1993, ancora non tradotta in italiano), docente universitario e saggista, intellettuale militante esiliato durante le dittature argentine degli anni Sessanta e Ottanta – risolveva la relazione tra vivere e scrivere sulle pagine di Critica e finzione (Mimesis 2019), un bel volume nel quale ordina e rimaneggia le sue interviste, facendone una sorta di personalissima arte poetica.
Vita e scrittura si intrecciano drammaticamente anche nelle pagine dei racconti raccolti in I casi del commissario Croce (traduzione di Pino Cacucci, introduzione di Massimo Carlotto, SUR, pp. 200, € 16,00). All’epoca già affetto da Sla, Piglia prende la parola nella nota in chiusura del volume: «Ho composto questo libro utilizzando il Tobii, un sistema che permette di scrivere con lo sguardo. In realtà sembra una macchina telepatica. Il lettore interessato potrà verificare se il mio stile ha subito modifiche. Gli altri miei libri li avevo scritti a mano o a macchina (con una Olivetti Lettera 22 che conservo ancora). A partire dal 1990 ho usato un computer Macintosh. Mi ha sempre intrigato capire se gli strumenti tecnici lasciano un qualche segno nella letteratura».

Grovigli di rimandi
Come aveva più volte postulato nei suoi scritti, i confini tra realtà e finzione si rivelano cedevoli: il sistema Tobii sembra infatti una versione (crudelmente) ironica della macchina per creare storie che compare in un suo romanzo del 1992, La città assente. L’oscillazione tra vita e letteratura, fatto storico e finzione, la tensione tra verità e menzogna, percorrono e plasmano anche gli undici casi di cui è protagonista il commissario Croce, che assumono perciò l’unica forma possibile per sviscerare un enigma o un segreto, quella del racconto poliziesco, già frequentata dallo scrittore argentino in Respirazione artificiale, o in Soldi bruciati.

Piglia gioca però con le norme codificate del genere, e alcuni stilemi qui si sovvertono ironicamente: Croce è più simile a un filosofo con stile da gaucho che a un commissario metropolitano, come prova l’universo a cui attinge per le sue uscite sentenziose – «Il senso del mondo è contingente ed erratico. Bisogna prenderlo al laccio, pensava, come si fa di notte con un vitello che si è perso. Non importa perché il vitello si sia perso, importa solo riportarlo nel recinto». E la geografia in cui si muove è quella remota della provincia di Buenos Aires, nella «irritante quiete della pampa pianeggiante, sempre uguale a se stessa».
Le indagini non sono svolte secondo una stringente logica razionale, ma avanzano a colpi d’intuizione, secondo un metodo paradossale basato sull’eccezione, che conduce a una verità «variabile e comparativa» perché «le relazioni interne alla verità cambiano, si muovono».
Gli enigmi da risolvere si calano nella Storia, o ne diventano allusiva metafora, immortalandone momenti fondativi e personaggi iconici: dal generale Urquiza, eroe di uno degli episodi memorabili della storia argentina, la battaglia di Caseros del 1852, a Evita Perón, acclamata e controversa moglie del generale Juan Domingo Perón, morta nel 1952.

Una delle ricorrenze della teoria letteraria di Piglia, e della sua concezione letteraria in genere, la riflessione sui rapporti tra la politica e la finzione – «due universi inconciliabili e simmetrici» – viene rielaborata in modo suggestivo anche in questa raccolta, solo apparentemente di facile lettura. La piacevolezza della prosa, tradotta da Pino Cacucci con bravura – e coraggio, viste alcune complessità dell’originale – convive infatti con una densità di rimandi e citazioni alla letteratura argentina, che la nota esplicativa dell’autore aiuta solo in parte a identificare.

Un lascito anche politico

Di questo gioco di evocazioni, rifrazioni, sdoppiamenti (in virtù del quale Borges viene trasformato nel protagonista di un meta-racconto sul delitto perfetto e si prende in prestito il personaggio dell’Astrologo dai Sette pazzi di Roberto Arlt), forse solo un lettore già molto interno ai libri dello scrittore argentino potrà godere fino in fondo. Ma I casi del commissario Croce è tutt’altro che una speculazione meta-letteraria o un ardito esercizio di stile: in questi racconti, infatti, i rapporti di potere che ne costituiscono il materiale principale vengono evidenziati allo scopo di smascherarli e scardinarne l’efficacia. Da questa lezione, il lascito più prezioso del volume e della letteratura di Piglia, che morì pochi mesi dopo la pubblicazione del libro, nel gennaio del 2017.

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