Ribellioni da Gutenberg ai social: utenti di tutto il mondo unitevi
Senza entrare nell’intricato campo della filosofia del linguaggio, della linguistica, della semiotica e di tutte quelle discipline che hanno a che fare con il carattere ambiguo e ingannevole della parola, è sempre curioso come l’essere umano tenti di ricreare la realtà adoperando la comunicazione. Che si tratti della narrazione neoliberista americana, che a inizio anni Novanta proclamava che la storia era finita – ergo: «abbiamo vinto noi da qui per l’eternità, arrendetevi» –, o di quel conoscente che cerca di convincervi che è solamente una persona «decisa» quando a voi dà l’impressione di essere solamente una carogna (pardon), ci ritroviamo costantemente a tentare di imbrigliare la realtà nelle nostre spiegazioni, motivazioni e giustificazioni.
A UN LIVELLO macroscopico, ovviamente, questo ha drammaticamente coinciso, nel corso della storia, con lo sfruttamento sistematico di milioni di persone, fossilizzate nell’idea che la realtà avesse solamente un verso, e che quel verso andasse accettato. Allo stesso tempo, però, la storia ci permette di assistere anche a tentativi eroici di ribellione alla versione ufficiale, alimentati da quelle che sono state grandi contro-narrazioni.
A queste narrazioni dissidenti, in contrasto con il modello dominante implicitamente volto allo sfruttamento, si dedica l’interesse di Francesco Filippi, che le ha raccolte nel suo nuovo libro Cinquecento anni di rabbia. Rivolte e mezzi di comunicazione da Gutenberg a Capitol Hill (Bollati Boringhieri, pp. 240, euro 18). Dalle sollevazioni contadine fino a internet, passando per la Rivoluzione francese, Filippi presenta un’agile rassegna di eventi storici che hanno visto come propulsore determinante i media.
IL LIBRO COMINCIA con una lunga analisi delle Bauernkrieg, le «guerre contadine» che misero a ferro e fuoco l’intera Germania nel biennio 1524-25. Filippi identifica l’evento come una delle prime sollevazioni popolari in cui i media hanno avuto un ruolo fondamentale – nella stessa Germania, poco più di settant’anni prima, Johannes Gutenberg aveva inventato la stampa a caratteri mobili. Leggendo della situazione dei contadini tedeschi della Foresta Nera agli inizi del Cinquecento, si comprende efficacemente il ruolo cruciale giocato dai primi mezzi di comunicazione, seppur rudimentali. Immedesimatevi: un piccolo villaggio, i primi seguaci di Lutero, un mondo semplice disperso fra boschi e campi. Una vita in cui riuscite a malapena a mettere da parte il cibo per la vostra famiglia e ne dovete consegnare la maggior parte a un feudatario, il «legittimo» padrone della terra che voi lavorate. Immaginate di non poter ricevere l’eredità di vostro padre perché il Signore la considera una sua proprietà. Immaginate, infine, un giorno qualunque nel quale vi siete diretti al centro del borgo, di venire a contatto con uno strano messaggio, stampato su fogli volanti letti ad alta voce fra capannelli di persone, volto a «giustificare cristianamente la disobbedienza, anzi la ribellione di tutti i contadini». Ecco che, a quel punto, la rabbia covata per molto tempo dentro di voi e mai neanche ben riconosciuta irromperebbe, facendovi aderire alla rivolta in atto; ecco che quel piccolo insieme di fogli apparentemente innocui avrebbe già cominciato a cambiare il vostro mondo.
«OGGI, SU SCALA molto maggiore, si è alle prese con un’analoga incapacità del sistema dominante di gestire il racconto pubblico come fatto in passato» commenta Filippi in un repentino passaggio dal Cinquecento tedesco al mondo globale di oggi, dove i media hanno da anni conosciuto l’avvento della rete. Internet è diventato il luogo privilegiato delle narrazioni che sfidano l’ordine costituito, con tutte le problematicità del caso. Se gli utenti conoscono finalmente la libertà di poter dare una propria versione dei fatti, senza dover sottostare per forza a mezzi di comunicazione calati dall’alto, tale libertà pare oggi troppo spesso uno strumento in mano a una violenza reazionaria, piuttosto che uno spazio plurale e molteplice.
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