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«Ribelliamoci ai signori del cibo»

Intervista Le multinazionali che impongono i gusti alimentari, le monocolture intensive, il fake food, la riscoperta degli alimenti dimenticati. Intervista con Gabriele Bindi, giornalista ambientale e autore di «Il cibo ribelle»

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 24 dicembre 2020

«Sembra un grande paradosso, ma proprio quando gli scaffali sono pieni e le dispense traboccano, andiamo incontro anche nel nostro mondo opulento e sprecone a carenze alimentari. Mangiamo talmente tanto e male che finiamo per intossicarci, esporci a malattie per vivere poi dipendenti dai farmaci. Senza contare che mettiamo a soqquadro gli equilibri planetari, costringendo alla fame o all’emigrazione di miliardi di persone nel mondo». Inizia così il nostro incontro con Gabriele Bindi, giornalista e guida ambientale, che da poco ha pubblicato per Terra Nuova Il cibo ribelle – Liberarsi dal cibo industriale, riscoprire i sapori e ritrovare la salute, (euro 18) che si avvale anche del contributo di Franco Berrino, Vandana Shiva, Salvatore Ceccarelli e Carlo Triarico.

Bindi, da chi dobbiamo ribellarci per avere un cibo sano?

Dalle multinazionali del cibo, le stesse che controllano i semi, i farmaci e i pesticidi, muovono i governi del mondo come marionette. Sono loro che decidono che cibo farci mangiare, quanto ne mangeremo, quanto ne sprecheremo. Sono loro che decidono chi ne avrà in eccesso e chi non ne avrà e morirà di stenti. Sono loro che ci illudono di avere ampia libertà di scelta rispetto a quelle che sono diventate delle dipendenze alimentari. Acquisire consapevolezza di questa schiavitù è il primo passo per liberarsene.

La salvaguardia della biodiversità è il filo conduttore del libro assieme alla filiera corta: dall’agricoltore al consumatore. Un esempio che mette insieme le due le cose?

Ci sono decine di esempi che ho riportato nel libro, ma se devo scegliere una realtà innovativa penso alla Cooperativa Agricola di Poggio di Camporbiano, sulle colline di San Gimignano (Siena). È un esempio di economia alternativa che attira l’attenzione di ricercatori di tutto il mondo, che vengono a studiarne il modello. Su una superficie che in condizioni normali, con le monocolture intensive, darebbe da mangiare a una piccola famiglia, riescono a viverci più di trenta persone. Con i loro formaggi o con le farine biodinamiche hanno scelto di non andare nei grandi negozi, lavorano con i gruppi d’acquisto, fanno le consegne dirette, creano economia sul territorio. Visitando queste fattorie abbiamo la dimostrazione diretta che un altro modo di coltivare e allevare è possibile. E persino un altro modo di con-vivere e fare economia.

Con l’aiuto di personaggi importanti racconti che le monocolture sono una catastrofe…

Come dice Franco Berrino nel libro, la monocultura è una trappola, ma lo sono anche gli accordi di libero scambio, perché espropriano i contadini della loro terra e li trasforma in lavoratori salariati che producono cibi che non mangeranno. Ci sono Paesi in Africa dove la terra fertile serve a produrre fiori per il grande mercato olandese e cereali e legumi per nutrire i manzi negli allevamenti intensivi di altri continenti. Gran parte della deforestazione in Amazzonia dipende dai nostri consumi alimentari che hanno ben poco di sano e che si basano sugli allevamenti intensivi. Tutto questo deve finire. L’agroecologia è la sola strategia che assicura resilienza e sostenibilità ed è la sola arma che abbiamo nei confronti del cambiamento climatico. Vandana Shiva su questi temi non ha peli sulla lingua. «Viviamo in un’era di fake news, fake science, fake food», dice, «ma ogni cittadino può iniziare a boicottare l’economia del veleno. Se ci limitiamo a essere consumatori, individualmente e socialmente, verremo mangiarti dallo stesso cibo».

Nel 2016 hai pubblicato Grani Antichi, argomento che ritorna anche in quest’ultimo libro con spighe ribelli. Cosa sta accadendo in Italia?

C’è una vera esplosione di microprogettualità, filiere del pane, sperimentazioni di largo respiro. Giovani che si avvicinano alla terra, esperienze sociali e politiche d’avanguardia, con la creazione di nuovi mulini di comunità e di reti di supporto all’agricoltura. Poi ci sono anche delle aziende che cercano di imporre brevetti sulle sementi, e su questo dobbiamo rimanere vigili. Comunque sia, dopo essermi occupato del grano in questo libro ho raccolto esperienze italiane attorno agli altri cereali, scoprendo un mondo fantastico, a partire dal mais, con centinaia di varietà locali coltivate in tutta Italia grazie al lavoro di agricoltori custodi e di ricercatori lungimiranti. Anche sul riso stanno nascendo progetti diversi che vedono la partecipazione dal basso da parte dei piccoli agricoltori che si riprendono il diritto di decidere cosa è meglio coltivare. Per non parlare di alimenti dimenticati come la segale, coltivata nei terreni scoscesi delle alpi, o gli pseudocereali come il grano saraceno. Stiamo cercando di riportare la biodiversità dal campo alla tavola.

Hai nostalgia di un tempo che fu?

Assolutamente no. E ti ringrazio per la domanda, perché devo sempre sottrarmi a questo equivoco. Nessuno vuole tornare ai tempi del passato e alle sofferenze di allora. Al passato dobbiamo guardare per prendere il meglio e per reinterpretare le sfide del presente. Bando alle nostalgie! Questo riguarda il nostro atteggiamento culturale, ma anche la genetica. La vita è in continua evoluzione e le piante che coltiviamo devono evolversi, insieme a noi. La parola magica è resilienza. Certo, ci sono alimenti e sapori del passato che sono irripetibili, ma ci vuole poco a recuperarli. Serve solo una buona dose di sana ribellione.

Scrivi che c’è un mondo in fermento, ma non è dato dagli uomini…

Ho dedicato un intero capitolo al tema delle fermentazioni. Una tecnica di conservazione trasformazione del cibo che abbiamo dimenticato anche a causa delle normative che favoriscono i processi industriali. Viviamo in un mondo di alimenti sterili, tutto è pastorizzato, persino i nostri pensieri. Il fermento però è anche quello di donne e uomini che, a partire dagli Stati Uniti, hanno dato vita a un vero e proprio movimento di fermentatori ribelli. Si tratta di riconciliarci con il mondo dei batteri che vivono in simbiosi con gli umani da migliaia di anni e ci garantiscono uno stato di equilibrio e salute. Vino, birra, formaggi, crauti, kimchi, kombucha: gli alimenti e le bevande su cui possiamo metterci alla prova sono tantissimi. Per la ricerca scientifica è un argomento molto recente, gli studi disponibili danno già dei risultati strepitosi. Gli esperti con cui collaboro mi assicurano che i benefici sono enormi.

In tutto questo tuo raccontare di cibo e agricoltura, i giovani consumatori che ruolo hanno?

Questa è una questione cruciale. I giovani sono per loro natura ribelli o meglio refrattari a ogni morale. Bisogna saper andar loro incontro utilizzando i loro stessi mezzi. Bisogna risvegliarli dall’ipnosi in cui vivono nel mondo dei social. Ci sono studi che dimostrano che quando i giovani sono ben informati poi passano all’azione. Se decidessero di cambiare le loro abitudini metterebbero in crisi le quotazioni borsistiche di molte multinazionali.

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