«Riapriamo i sentieri tra i borghi»
Intervista L’associazione Sentieri Alta Val Malone è stata nominata Ambientalista dell’anno per il suo lavoro di riconnessione sociale delle borgate di montagna. Ne parliamo con il presidente Mauro Salot
Intervista L’associazione Sentieri Alta Val Malone è stata nominata Ambientalista dell’anno per il suo lavoro di riconnessione sociale delle borgate di montagna. Ne parliamo con il presidente Mauro Salot
Recuperare i vecchi sentieri tra le borgate sparse e ricostruire così il tessuto sociale, frammentato e fragile, della montagna contemporanea. Questo l’obiettivo dell’associazione Sentieri Alta Val Malone (Asavm) che, venerdì scorso a Casale Monferrato, è stata insignita del titolo di Ambientalista dell’anno 2023, ricevendo il Premio Luisa Minazzi, giunto alla quattordicesima edizione e promosso da Legambiente e dalla rivista La Nuova Ecologia insieme al Comitato organizzatore, all’Ente di Gestione delle Aree Protette del Po piemontese e al Comune monferrino. Del premio ne parliamo con il presidente dell’associazione Mauro Salot, che dopo aver a lungo viaggiato per lavoro è tornato in pianta stabile nella sua Corio Canavese (Torino) e qui – in quindici anni grazie anche al contributo di tanti – ha dato il via a una piccola rivoluzione copernicana.
Prima di andare alle origini del progetto, partiamo dall’ultimo lieto tassello: che effetto vi fa essere stati eletti Ambientalisti dell’anno?
Ci ha sorpreso quasi quanto la candidatura, perché rappresentiamo una realtà significativa ma oggettivamente marginale, operando tra due piccoli comuni dell’Alta Val Malone Corio e Rocca Canavese. La nostra è una storia collettiva e tale è stata la candidatura. A Casale, venerdì, sono stato l’ultimo a presentare la storia, dopo averne ascoltate altre di assoluto livello e rappresentate da nomi altisonanti: mi sono sentito vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro. Ci ha probabilmente aiutato nel risultato il coinvolgimento delle persone che gravitano attorno alla nostra iniziativa.
Come e quando è nato il vostro progetto e quali sono i motivi che l’hanno spinto?
In un certo senso parte dalla scelta mia e della mia famiglia di vivere qui, anche se magari stare a Torino sarebbe stato più comodo. Negli ultimi anni della carriera lavorativa, trascorrendo in Alta Val Malone più tempo, mi sono reso conto delle criticità di questa valle, un tempo meta di villeggiatura della borghesia torinese. Incastonata tra le Valli di Lanzo e il Canavese e vicina a Ciriè, ha patito l’abbandono tipico vissuto dalle valli alpine: da 10mila persone che l’abitavano a inizio Novecento ne sono rimaste 3.500. Lo spopolamento ha avuto effetti devastanti sul paesaggio e sul tessuto sociale in un territorio, tra l’altro, estremamente parcellizzato; a Corio se contiamo borgate e case sparse arriviamo a 220. E queste si sono assottigliate nei decenni: Piano Audi, ad esempio, che aveva 900 abitanti ora ne fa 32. Il bosco si è ripreso gli spazi disordinatamente. Fino al 2007, non esisteva più un sentiero che collegasse una borgata all’altra. L’idea di recuperarli è stata la scintilla. All’inizio eravamo pochi e derisi, armati di motosega e decespugliatori. Grazie anche all’aiuto della Pro loco abbiamo pulito e sistemato il primo percorso – sedici anni or sono – tra le borgate Piano Audi e Ritornato. Fino al 2014 il lavoro è stato frutto di gruppi spontanei, che sono riusciti a sistemare una ventina di sentieri, messi a catasto con il Cai. Sicché, visto che ci stavamo ampliando ad altre zone della valle, si è imposta una pausa di riflessione.
Cosa è successo e qual è stato il passo successivo?
Abbiamo incominciato a fare incontri propedeutici in comune con la popolazione, in cui parlavamo di sviluppo e fruizione del territorio. Ogni volta la sala era piena. Così il 5 novembre 2015, facendo rete tra le realtà associative esistenti, lanciamo l’associazione Asavm: 45 soci fondatori e un direttivo di 25 persone. Con il tesseramento incominciamo a finanziarci, perché l’autonomia economica e un’assicurazione per chi lavora sono aspetti fondamentali. Piano piano il progetto decolla e arriviamo agli 880 associati di oggi e a 180 chilometri di viabilità pedonale montana recuperata per un totale di 47 sentieri riaperti, messi a catasto e manutenuti, dai 550 metri ai 1.300 di altitudine. Abbiamo rifatto ponti e passerelle. Sono, nel complesso, percorsi da fare a piedi, a cavallo o in bicicletta.
Riappropriarsi degli spazi significa anche riappropriarsi delle storie. È così?
Sì, ogni sentiero ha la sua storia e per ciascuno abbiamo costruito una narrazione, dagli aspetti naturalistici alle tematiche resistenziali, visto che questa valle fu soprannominata da Radio Londra la «valle della morte» e fu sede di brigate partigiane. Oltre alla pulizia dei sentieri, per la quale con 60 volontari offriamo alla comunità tra le 6.500 e le 7.000 ore di lavoro l’anno, organizziamo serate di dibattito e di informazione e incontri nelle scuole, in cui parliamo dei cambiamenti climatici o delle questioni forestali, del nostro pregiato ma troppo disordinato bosco che si è riappropriato della valle e che dovrebbe essere meglio gestito. È bello che la nostra esperienza abbia superato le frontiere, i nostri sentieri hanno incominciato a essere frequentati. I primi che se ne sono accorti sono i ristoratori, ma più che di turismo vogliamo parlare di ospitalità ovvero di uno scambio culturale in grado di dare e di restituire.
Da pochi e derisi che eravate all’inizio a tanti. Il recupero dei sentieri ha stimolato un cambiamento. Cos’è mutato nel tempo?
Questa era una realtà cristallizzata nella sua decadenza, con l’incessante elegia dell’«era meglio una volta». È, però, qualcosa di antistorico, perché la montagna era fatica e per questo la gente la abbandonava. È mancata una visione che ora c’è, con i sentieri siamo riusciti a fare comunità: la logica del campanile è stata sopravanzata dalla volontà di mettersi in rete, di provare a pensare per macroaree, quella per esempio delle Alpi occidentali. Stiamo lavorando per connetterci ad altre reti di sentieri, dalla riserva della Vauda alle montagne del Biellese. Ora, con noi ci sono anche giovani. Il seme è piantato e siamo nella fase in cui ci servono meno muscoli e più fosforo. I sentieri hanno innescato un cambiamento e stimolato nuove prospettive di sviluppo. Per guidare questo processo articolato forse non basta un’associazione. Noi, che abbiamo sopperito anche a carenze istituzionali, siamo comunque pronti a fare la nostra parte.
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