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Rex Whistler, capricciosa leggenda

Rex Whistler, capricciosa leggendaRex Whistler, "Ulysses’s Farewell to Penelope", part., 1932, The Salisbury Museum

Al Salisbury Museum, "Rex Whistler. The Artist and His Patrons", a cura di Nikki Frater Estraneo al modernismo, un universo narrativo bizzarro che sedusse negli anni trenta la nobiltà inglese di manto e di cultura: da Lady Diana Cooper a Cecil Beaton

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 22 settembre 2024
Roberto ValerianiSALISBURY (WILTSHIRE)
Rex Whistler in una foto di Howard Coster © National Portrait Gallery, Londra

Il culto di cui gode in Inghilterra il pittore Rex Whistler (1905-1944) ha qualcosa in comune con quello tributato al poeta Rupert Brooke, morto in guerra nel 1915, ventisettenne. I versi di Brooke sono fra i più elegiaci lamenti sugli orrori della Grande guerra, la pittura di Whistler è un esempio, seppure anomalo, del gusto negli anni fra i due conflitti mondiali. Ma se le liriche di guerra del giovane poeta sono poche, per Whistler il materiale pittorico è abbondante e quello grafico ancor più cospicuo, depositato in gran parte nel Museo di Salisbury, dove la mostra Rex Whistler The Artist and His Patrons (fino al 29 settembre) spiega quella anomalia a cui si accennava attraverso la committenza e le inclinazioni dell’artista, indifferente ai modernismi e devoto a un proprio universo narrativo.
La sua abilità sedusse l’aristocrazia di manto e di cultura, che viene ritratta nell’eccellente catalogo della mostra, redatto da Nikki Frater, e scandito in capitoli dedicati alle personalità che ingaggiarono il pittore e ai lavori relativi. Reginald John («Rex») Whistler era entrato, sin dall’epoca dei suoi studi alla Slade, in una sfera sociale più alta di quella da cui proveniva. Quando nel 1927 venne inaugurato il suo spettacolare lavoro nel ristorante della Tate Gallery – sulle cui pareti, appena ventunenne, aveva dipinto una lunga favola –, fu presentato da George Bernard Shaw in un evento al colmo della mondanità, presenti personalità come Sir Philip Sassoon, l’erede di una dinastia di mercanti generata a Baghdad e anglicizzata nell’Ottocento. Sassoon commissionò nel 1930 a Whistler la decorazione di una lunga stanza a Port Lympne, la sua residenza di campagna, e il pittore inscenò un paesaggio costellato di edifici tratti dagli appunti presi in ogni luogo che aveva visitato, in patria e nel continente: dettagli architettonici, paesaggi, oggetti, volti e sagome.
In questi suoi grandi murali, che gli diedero fama, procedeva come un bambino che ha raccolto oggetti disparati con curiosità infantile e con essi costruisce una realtà fiabesca, a volte sottilmente grottesca. Il lavoro per Sassoon fu lungo e costellato di ostacoli posti dal proprietario, che utilizzava quella casa per ricevimenti e incontri politici ai massimi livelli. Henry «Chips» Channon, il ricco americano naturalizzato inglese, autore dei più cospicui e piccanti diari dell’epoca, la considerò brutta, e sua moglie Honor Guinness la definì un bordello spagnolo. Ma lo spirito di emulazione fu più forte dello snobismo estetico: di lì a poco Channon impiegò il pittore nella sua casa londinese, al 5 di Belgrave Square, facendogli dipingere un sopra camino in un salotto, accanto a una rutilante e famigerata sala da pranzo neorococò che aveva fatto copiare dall’Amalienburg di Monaco di Baviera.
A questo punto Whistler era diviso in due: un artista tradizionale che non faceva molto denaro con quadri da cavalletto e un decoratore murale, un genere favorito negli anni trenta nelle dimore di lusso. I suoi ritratti a matita erano squisiti, alla Ingres, come lui stesso li definiva, ma fruttavano poco o nulla, e la famiglia era in costante bisogno di denaro. Scelse dunque la via più redditizia. Per la più fenomenale delle figure sociali del momento, Lady Diana Cooper, tracciò discreti trompe l’oeil sulle pareti dell’appartamento di Gower Street, pagati col denaro guadagnato con il tour americano di The Nun, il dramma di Max Reinhardt che l’aveva trasformata da figlia del duca di Rutland in attrice di grido – «sono tornata in Inghilterra con i soldi per nuove tende e per Rex Whistler, colui che amo di più fra i suoi coetanei».
Il pittore compose ancora panoplie classiche in monocromo su fondo turchese per il boudoir di Edwina Mountbatten; grandi paesaggi sulle scale della casa della baronessa Porcelli, ricca americana che storse la bocca sul prezzo; il ritratto dei figli di Dorothy Wellesley, amante di Vita Sackville-West, e una stanza fra gotico e neoclassico per Maud Russell, collezionista di arte contemporanea francese che viveva in una abbazia medioevale trasformata nel diciottesimo secolo.
In mostra è riapparso, dopo decenni, un quadro di grandi dimensioni, probabilmente un regalo a un ammiratore invadente, L’addio di Ulisse a Penelope, dipinto per Sir Malcolm Bullock nel 1932. È un omaggio ai porti di Claude Lorrain, ma pieno di agitati personaggi in terra e di scomposte divinità in cielo che fanno il verso ai soffitti di Thornhill, di Verrio o di Rubens. Gli impercettibili riferimenti colti dimostrano come Whistler possedesse una certa erudizione classica, ma virata in chiave eroicomica di stampo settecentesco, alla Swift o alla Pope.
Cenava con i duchi di York (futuri Giorgio VI ed Elisabetta) e con quelli di Kent, spendeva giorni nell’idillico Wiltshire con i coetanei, Stephen Tennant e Cecil Beaton, ma nessuno sembra aver capito bene se fosse noioso o semplicemente timido, divertente o tormentato. Beaton, nel suo diario, annotò un giorno: «visto Rex, nessun pettegolezzo – non ne conosce. Nessun discorso sul sesso – non ci pensa». Lytton Strachey (tutti i componenti del coterie di Bloomsbury lo incontrarono), dopo essere stato seduto a un pranzo accanto a lui, annotò: «non so se ho provato repulsione o attrazione per quel volto brutto ma sessualmente provocante». Nella biografia che il fratello Laurence scrisse nel 1985 si accenna al temperamento schivo e alle inclinazioni sessuali di Rex – nonché a quelle di molti suoi amici clienti –, ma le pagine sono velate di un pudore fraterno che preferisce indulgere nella descrizione di amori femminili come quello per Caroline Paget, figlia del Marchese di Anglesey, per la residenza del quale, a Plas Newydd, Rex aveva composto una lunga veduta di un porto che sembra adattarsi a una frase di Mark Twain di molto tempo prima, «un paesaggio estivo, dolce e riposante, bello come un sogno, e malinconico come una domenica».
La fama lo accompagnò anche nel lungo periodo di addestramento militare quando, già trentacinquenne, si arruolò e compose alcuni dei suoi quadri più belli, ritraendo commilitoni e superiori. In quell’ultima fase della sua attività realizzò forse il suo sogno più segreto, essere un vero e proprio pittore della realtà, non più di un mondo letterario. Quando giunse la notizia della sua uccisione in Normandia nel giugno del 1944 il bel mondo londinese lo pianse all’unisono, ricordandolo come l’infaticabile lavoratore, la presenza spesso silenziosa, l’amico a volte esilarante altre schivo e misterioso, più intuito che compreso. Maud Russell annotò: «sapevo che sarebbe caduto: difficile, strano, raro, infelice Rex».
Diana Cooper ricordò come fosse sempre con una matita in mano, quasi il suo sesto dito. Nella grafica dal tratto nitido, anche nelle composizioni più preziosamente intricate, risiede il fascino della sua opera, così come nello spirito umoristico celato in molti lavori. Un umorista può essere malinconico. Perciò alcuni suoi ritratti o paesaggi restano difficili da intendere, come la sua personalità, diventata curiosamente una leggenda.

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