Il pregiudizio è comprensibile, forse inevitabile: una mostra di quadri e sculture di Bob Dylan interessa e incuriosisce per il nome dell’artista più che per i suoi quadri. La grande mostra Bob Dylan. Retrospectrum, che si apre oggi al Maxxi di Roma e proseguirà sino al 30 aprile, sta lì apposta per smentire il pregiudizio. L’opera visiva di Bob Dylan, quadri disegni e sculture, ha un valore eccellente in sé. Dylan ha sempre lavorato con matita e pennelli, con crescente impegno a partire dagli anni ’70. La raccolta dei suoi testi del ’73, Drawing and Paintings, accostava già alle liriche disegni in uno stile ancora incerto. Con gli anni il cantautore premio Nobel ha dedicato sempre più tempo ed energie alla tela, fino a farne negli ultimi anni una parte centrale quanto la musica della sua produzione artistica.

LA MOSTRA retrospettiva, curata dall’israeliano Shai Baitel direttore artistico del Mam di Shangai, è la più grande fra le molte dedicate negli ultimi anni al Dylan pittore Dopo essere stata presentata a Shangai e Miami arriva a Roma in un allestimento ripensato e ampliato per sfruttare le possibilità offerte dal Maxxi. Le 8 sezioni in cui è divisa permettono di ripercorrere il percorso dell’artista dai disegni degli anni ’70 agli studi e schizzi buttati giù e mai del tutto completati tra la fine degli ’80 e i primi ’90 fino alle opere mature dell’ultimo decennio, passando per le sculture in ferro, materiale che Dylan confessa di avere sempre amato più degli altri.
I disegni della sezione Mondo Scripto, già pubblicati in volume nel 2020, sono una calamita per chiunque ami l’autore. Si tratta dei testi, a volte rimaneggiati, delle sue canzoni più famose, ciascuno accompagnato da un disegno e non si tratta quasi mai di quel che ci aspetterebbe: un Napoleone sfatto, grasso e sconfitto, «in rags», illustra Like a Rolling Stone, un uomo bruciato vivo fa da contrappunto a Chimes of Freedom, un desolato venditore ambulante di bibite illustra Visions of Johanna, la signora di Lay Lady Lay siede sola sul grande letto d’ottone la Girl from North Country è ormai una casalinga alla quale sono rimasti solo i lunghi capelli biondi. Una sola città merita una sezione a parte: «Fra tutti i posti preferisco New Orleans. E’ un’unica, lunghissima poesia. Tutto a New Orleans è una buona idea».Con gli anni il cantautore premio Nobel ha dedicato sempre più tempo ed energie alla tela, fino a farne negli ultimi anni una parte centrale quanto la musica della sua produzione artistica.

MA NELLE IMMAGINI della sezione portante The Beaten Path, Strade battute, costellate di visioni che più americane non se ne trovano neppure nei romanzi di Kerouac, a volte metropolitane oppure circondate da spazi sconfinati, percorse da camion solitari, affollate da macchine nel caos della grande città, oppure sormontate dai treni della sopraelevata, senza esseri umani, spunta uno spicchio d’Europa. È piazza di Spagna a Roma, la città e la scalinata di When I Paint My Masterpiece, quasi una canzone dedicata dal Dylan musicista al Dylan pittore. Non è il quadro migliore della mostra, l’autore è troppo americano per la Città Eterna. Ma agli italiani e ai romani farà comunque piacere che ci sia. La serie Deep Focus, probabilmente la più recente, è ispirata dal cinema, da quello noir più che da ogni altro, e risente dell’eredità di Hopper anche più delle altre. Riprende la tecnica cinematografica consistente nel mettere contemporaneamente a fuoco il primo piano e lo sfondo,esaltando così i particolari.
Bob Dylan è un grande artista perché ha rovesciato il modo di comporre e ascoltare le canzoni: senza di lui la musica non sarebbe la stessa. Non si può dire la stessa cosa del Dylan artista visivo. Ma chi visita questa mostra scoprirà che è comunque un ottimo pittore.