Percorrendo lo stivale verso la Toscana in direzione di Carrara e salendo a quota 1900 m s.l.m, si arriva nel Parco regionale delle Alpi Apuane, terza tappa del viaggio nella galleria fotografica del Manifesto.

E’ un luogo dal paesaggio mozzafiato, habitat di specie animali rarissime e di forme di vegetazione uniche al mondo; culla della biodiversità, questo territorio è entrato nel 2015 a far parte del programma dell’Unesco per la conservazione del patrimonio ambientale di rilevante valore mondiale.

Progetto fotografico sull’attività estrattiva nel parco regionale delle Alpi Apuane di Stefano Sbrulli
(sfoglia la photo gallery)

 

 

Queste zone sono ogni anno meta di viaggio per escursionisti silenziosi che desiderano entrare in contatto con la natura selvaggia delle montagne e quello che racchiudono, come le particolari rocce carsiche, le testimonianze glaciali, le ricchezze faunistiche e botaniche e non per ultimo il patrimonio archeologico. E’ possibile percorrere questi sentieri per giorni, pernottare dentro bivacchi nel cuore del parco regionale, abbandonarsi alle connessioni che la natura genera, scegliere di praticare un turismo diverso, sostenibile e rispettoso.

 

Questa immagine di locus amoenus però si infrange di fronte alla realtà. La zona infatti è sede di una delle più grandi fonti di profitto del mondo imprenditoriale, la miniera d’oro da portare sul mercato mondiale: il marmo. Oltre 100 ettari di cave ricadono all’interno dei confini del Parco naturale regionale delle Alpi Apuane, mentre la restante estensione in aree adiacenti al parco stesso. Non esistono fratture sociali, disastri ambientali, esigenze economiche delle comunità che frequentano e vivono in quei territori in grado di fermare questa devastazione; l’obiettivo è il massimo sfruttamento delle risorse per il profitto.

Un manifesto pubblicitario ritrae l’esclusiva escursione turistica all’interno delle cave di marmo

 

 

Stefano Sbrulli, regista e fotografo, che negli ultimi anni si è dedicato al tema dell’estrattivismo e alle conseguenze sulla salute delle popolazioni in Africa e Sud America, ha deciso di raccontare il capitolo italiano di tale argomento e indagare le disastrose conseguenze ambientali dell’estrazione delle delle cave di marmo. Nel suo lavoro c’è una presenza costante, inanimata, apparentemente innocua, come la neve. Un pulviscolo bianco, che a contatto con l’acqua crea una sorta di fango bianco e a contatto con l’aria si deposita sulla roccia. Non è neve, e non è innocua, il nome corretto è “marmettola”. Si tratta di polveri di marmo sottilissime, rilasciate dall’attività di escavazione, che inquinano i corsi d’acqua (proprio in queste zone si trova uno dei bacini idrici più importanti d’Italia), cementificano gli alvei dei torrenti e dei fiumi, impermeabilizzano i terreni, provocando enormi rischi idrogeologici e alluvionali.

 

Due immagini alterate in CG mostrano alcune delle centinaia di cave presenti nel territorio di Massa e Carrara.
Foto di Stefano Sbrulli

 

 

Decine di associazioni, sindacati e movimenti, sotto la sigla “NO CAV” denunciano ogni giorno le criticità degli impatti ambientali dell’estrattivismo sulla zona delle Alpi Apuane. Nonostante le lotte, gli indici di inquinamento e i dati sull’occupazione che dimostrano tutt’altro che la creazione di una “grande filiera produttiva”, l’attività estrattiva non si ferma. Negli ultimi vent’anni si è estratto più degli ultimi 2000 anni, e si parla addirittura dell’ autorizzazione all’aumento delle estrazioni, mentre milioni di metri quadri di territorio vengono ridotti a discarica di scarti di estrazione.

 

Partire alla volta delle Alpi Apuane e documentarne l’attività estrattiva significa inoltrarsi in un terreno difficile, e chi lo osserva attraverso l’obiettivo di una fotocamera non è persona gradita. Tessere quindi legami con le comunità, con residenti e gli attivisti, prendere posizione, è un passaggio quasi obbligato per riuscire a raccontare con le immagini la complessità di un luogo simile.

 

Perciò il progetto di Stefano Sbrulli nasce grazie anche a una collaborazione ormai storica con Source Internazional, un’organizzazione non governativa formata da scienziati e avvocati che si occupano di tutela dell’ambiente e dei diritti umani, attraverso il monitoraggio e le rilevazioni sul campo. Un rapporto che negli anni si è consolidato, traducendosi in un continuo scambio di sinergie, competenze e fiducia reciproca, in grado di innescare per entrambi nuove opportunità di racconto, coinvolgimento e contestazione. Così il fotografo ha potuto muovere i primi passi, in situazioni spesso critiche, insieme a un valido partner, per proseguire poi nei suoi lavori in autonomia verso strade che possono prendere direzioni il più delle volte inaspettate.

 

“La mia ricerca si inserisce in un ambiente compromesso dallo sfruttamento dove gli interessi economici prevalgono su tutto.
Il sostegno delle associazioni e dei movimenti locali saranno fondamentali per lo sviluppo del progetto.”

 

Chiunque scelga di percorrere questi sentieri, passo dopo passo incontrerà un cantiere, un segnale bianco e rosso indicherà di proseguire all’interno dell’impianto industriale e di attraversarlo, interrompendo il normale cammino e procurando ai visitatori sensazioni contrastanti. Un’insolita esperienza, che porta con sé il sapore amaro della disillusione. L’odore di polvere e il rumore del grido di aiuto della natura, raggiungerà i sensi dell’escursionista, ospite occasionale di questo luogo, per ricordargli che queste terre devono essere difese e che “le montagne non ricrescono”.