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Reti neutrali

Reti neutraliInternet – Jaume Plensa

Ri-mediamo In Usa ed Europa si decide uno dei terreni principali della democrazia contemporanea: la neutralità della rete rispetto agli utenti e ai fornitori di contenuti. Internet è di tutti o di chi paga di più? E in Italia l'agendina digitale del governo tace

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 14 maggio 2014

A metà del secolo scorso negli Stati Uniti erano in grande spolvero il rock and roll e, naturalmente, il jazz, mentre in Italia egemonizzavano la scena i pur bravi Nilla Pizzi e Gino Latilla. Solo parecchi anni dopo arrivarono gli «urlatori», che prefigurarono le rotture successive.
Mutatis mutandis
, l’esempio calza da vicino nel dibattito sui media. Grandi strali contro la par condicio e tagli secchi del servizio pubblico radiotv, nonché vaghe promesse sull’Agend(in)a digitale. Per non dire del copyright o della cosiddetta copia privata.

Un caso di scuola è il delicatissimo tema della neutralità della rete. Si tratta di una delle fondamenta della democrazia contemporanea. La rete deve essere sempre aperta e mai discriminatoria: altrimenti, si mette in discussione la stessa ontologia di Internet, che o è luogo di partecipazione paritaria o non è. Insomma, la neutralità è una precondizione per poter esercitare tutti gli altri diritti. Ecco, di tale tema nel dibattito pubblico italiano non c’è traccia (nella passata legislatura un disegno di legge in materia – discusso per otto mesi in rete- rimase lettera morta), mentre nel villaggio globale è il principale argomento di scontro politico ed economico. E già, perché la velocità dell’incremento tecnologico offre sempre maggiori opportunità di circolazione, ricchezza che da numerosi parti si vorrebbe appannaggio di poche élite dotate di grandi risorse. I grandi operatori delle telecomunicazioni non sopportano che un cittadino qualsiasi valga come Netflix, Amazon o Google.

Attenzione. La net neutrality non cancella la mitica libertà del mercato, né abolisce i profitti. Si tratta semplicemente di stabilire che l’uguaglianza dell’accesso non è in discussione. È una delle principali battaglie del secolo e si gioca anche qui la cruciale questione della diffusione dei saperi.

Negli Usa il confronto è asperrimo. Obama si era schierato a favore, come in un primo momento la Federal Communication Commission. Dopo una decisione della Corte di appello federale del distretto di Columbia, la Fcc medesima sta cambiando orientamento. I maligni sostengono che qualche componente dell’autorità ha conflitti di interesse. Come è piccolo il mondo, si dirà. E non è finita qui.

In Europa qualcosa si muove. Agli inizi di aprile il Parlamento europeo ha approvato un emendamento al prossimo progetto di regolamento europeo sulle tlc proprio a difesa della net neutrality. Ne è scaturito un putiferio, che troverà voce nel consiglio dei ministri che si terrà dopo le elezioni del 25 maggio. Alla faccia di chi parla di confini incerti tra progressisti e conservatori , questo è davvero un punto discriminante.

Torniamo all’afasia italiana. C’è un orientamento del governo? È l’atteggiamento velatamente ostile del sottosegretario Giacomelli? Nell’esecutivo della velocità digitale, chi si sta occupando di tutto ciò? Quando arriveranno i novelli urlatori?

P.S. Grazie ai dati sulle trasmissioni di approfondimento forniti dal Centro di Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva per il periodo 1 aprile – 9 maggio, pare proprio che le grida manzoniane dell’Agcom abbiano prodotto pochino. Pd , Forza Italia, 5Stelle (staccati) guidano la classifica, come se non fossimo nel periodo «protetto». I radicali ridotti a prefisso telefonico, Tsipras, Lega, Verdi, Idv, Fratelli d’Italia, Ncd agli inferi. Grillo andrà da Vespa, che inviterà successivamente Berlusconi e Renzi. Non è possibile. Non è una partita a tre. La par condicio vale anche nella repubblica di «Porta a Porta».

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