L’odissea della rete unica ieri ha vissuto una svolta positiva. L’idea – che il governo Meloni a parole appoggia – di far controllare a Cassa depositi e prestiti la rete Tim ieri ha ripreso quota. Cpd infatti non esclude una «forma di cooperazione per avere una infrastruttura efficiente e moderna». È l’amministratore delegato di Cdp, Dario Scannapieco, a rompere gli indugi dopo le indiscrezioni circolate negli ultimi giorni.

CDP, CHE IERI HA CHIUSO il primo semestre con un utile netto in crescita del 28% a 1,9 miliardi di euro, ha iniziato a svelare le sue carte: «L’Italia ha un bassissimo utilizzo della fibra, posata ma utilizzata poco. Riteniamo che questa sia una infrastruttura importante per la competitività del paese e che ci siano sinergie da una forte aggregazione della rete, lasciando poi spazio alla concorrenza sui servizi. C’è un valore industriale su un disegno di rete unica», ha spiegato Scannapieco.

Tim, che non vede l’ora di incassare i proventi della cessione per raddrizzare i suoi disastrati conti, brinda in Borsa dopo i risultati del Brasile con il titolo che a Piazza Affari guadagna l’1,52% a 0,27 euro. Per il top manager di Cassa depositi e prestiti ci deve essere «una infrastruttura forte» ma «la concorrenza deve essere a livello di servizi per evitare sprechi e duplicazioni». Per Scannapieco, inoltre, occorre proseguire «il dialogo con la Ue per capire quale disegno industriale sia accettabile».

Resta intanto aperta la partita per la rete con Kkr che ha come termine ultimo il 30 settembre per presentare un’offerta vincolante. C’è ancora da capire se e come il governo, tramite la Cdp o anche con un intervento diretto del Mef, entrerà come socio di minoranza accanto al fondo americano ed eventualmente l’altro fondo a partecipazione pubblica F2i nella società della rete.

L’OFFERTA VINCOLANTE da parte del fondo americano Kkr dovrebbe arrivare poco prima di fine settembre e dovrebbe fissarsi a circa 21-22 miliardi di euro. Il problema finora è stata la contrarietà di Vivendi, i francesi soci di maggioranza di Tim, che considerano l’offerta degli americani troppo bassa.

LA VERA SVOLTA PERÒ risiederebbe nel fatto che E per la prima volta, secondo alcune indiscrezioni, sembra che i francesi di Vivendi, che hanno il 24% di Tim, siano disposti a sedersi al tavolo con il governo se verranno rispettate alcune condizioni, come la sostenibilità economica della ServCo, la società che rimarrà dopo la vendita della rete. In ogni caso sembra che i francesi non abbiano più intenzione di far battaglie ostili in Italia, men che meno contro il governo.

INSIEME A KKR, che ha posto come condizione di avere la maggioranza della Netco, la società della rete dell’ex monopolista, dovrebbe partecipare all’operazione un nocciolo di investitori italiani guidati dal ministero dell’Economia, insieme al fondo F2i e alla Cdp per un totale del 30-35% della società. La partecipazione diretta del Mef si è resa necessaria perché Cdp non può assumere poteri di governance, in quanto controllante della rete concorrente Open Fiber: la fusione fra le due reti è ancora bloccata dai veti e proprietà incrociate.

IL PIANO DEL GOVERNO fa leva sulla prospettiva di speculazione del fondo americano: Kkr punta a rivendere la sua partecipazione appena la rete avrà completato la copertura di fibra ottica, incassando la plusvalenza stimata dai 10-11 miliardi di valore odierno ai 18-19 miliardi che varrebbe la società con fibra su tutto il territorio italiano. A quel punto al Mef e ai suoi alleati basterà mantenere quel 30-35% per controllare la rete, così come sta già facendo con Terna per l’energia elettrica e per Snam sul gas.