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RestartApp fa ripartire l’Appenino

RestartApp fa ripartire l’Appenino

Intervista Dall’agricoltura biologica alla logistica per i piccoli produttori, a servizi di consulenza e orientamento verso colture a basso impatto. Parla Francesca campar, direttrice dell'Osservatorio Garrone

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 5 aprile 2018

Dal 2014 la Fondazione Edoardo Garrone ha un progetto ambizioso: dare il proprio contributo perché l’Appennino viva un nuovo inizio, restart in inglese. ReStartAPP offre ogni anno un’opportunità di formazione a 15 giovani imprenditori, a quindici under 35 che hanno una buona idea da sviluppare, per avviare un’attività economica in montagna. Dal 2016 è affiancato anche dal gemello ReStartALP, promosso in collaborazione con Fondazione Cariplo. Dopo i primi quattro anni di attività, su 88 giovani che hanno preso parte ai campus, 23 hanno costituito un’impresa. Ai progetti più meritevoli di ogni sessione è assegnato anche un finanziamento, tra i 10 e i 30mila euro. Gli ambiti spaziano dall’agricoltura (biologica) alla logistica per i piccoli produttori, a servizi di consulenza e orientamento verso nuove colture a basso impatto, come la canapa. «La nostra vocazione è ai giovani, con progetti orientati alla formazione: il campus offre percorsi di altissima qualità, e gratuiti, per tutti i meritevoli. È un intervento orientato a promuovere l’imprenditorialità, per portare valore aggiunto sui territori» racconta Francesca Campora, direttore della Fondazione Edoardo Garrone, che ha sede a Genova.

Come nasce ReStartAPP?

È frutto di una intuizione di Riccardo Garrone, il fondatore, che era un uomo di montagna e viveva in Appennino ligure (a Grondona, in provincia di Alessandria, ndr): quel contesto, visto con occhio appassionato ma anche di imprenditore, era un patrimonio enorme e dormiente. Biodiversità, risorse naturali, flora e fauna erano abbandonate. I territori, ma anche i saperi, trascurati da più di cinquant’anni, dal grande svuotamento appenninico, almeno per quanto riguarda la Liguria. Prima del richiamo dell’industria, la popolazione ligure era fatta di pescatori o di gente dell’entroterra che viveva su un’economia legata alla gestione del territorio, alle castagne, a derivati del bosco. Questa dialettica tra mare e monti ha subito una brusca interruzione, su tutta la dorsale appenninica. Il danno legato alla mancata gestione oggi lo ritroviamo ogni volta che piove, in modo puntuale. La fragilità la scontiamo tutta. Quindici anni fa, quando Riccardo Garrone iniziò a far circolare tra amici e colleghi il suo progetto Appennino, a cui aveva lavorato con consulenti, nessuno lo ascoltava. Dopo la morte di Riccardo Garrone, nel 2013, il figlio Alessandro prende la guida della Fondazione, e – complice la crisi scoppiata nel 2008, che ha reso necessario un «ritorno a un’economia reale, ai fondamentali» dice Campora – capisce che è tempo di riprendere in mano la “questione Appennino”.

Che cosa offrite ai giovani che vogliono misurarsi con l’impresa in montagna?

Partiamo da un bando, call for ideas, che sta aperto un paio di mesi (fino al 16 aprile è aperto quello di ReStartALP,l’incubatore d’impresaper aspiranti imprenditori del territorio alpino). Intercettiamo under 35 con un progetto d’impresa o un’impresa già avviata da non più di 12-18 mesi. Il bando è severo, e serve a soppesare il livello di qualità della proposta. Non pone però come vincolo il titolo di studio: guardiamo alla persona. Dopo una prima selezione sulla carta, svolgiamo alcuni colloqui motivazionali, con professionisti dai profili complementari. Questo ci serve a individuare le 15 persone che poi vivranno insieme tre mesi di lavoro intensivo in aula, con orario 9-18, e 52 diverse docenze. Gli “insegnanti” sono imprenditori, esperti di marketing territoriale e di filiere di produttività, contadini. C’è anche un periodo di affiancamento in alcune imprese attinenti al progetto. La spina dorsale del campus è il laboratorio di creazione d’impresa, dedicato a sostenibilità economica, analisi e canali di mercato, sviluppo d’impresa. È anche l’aspetto più delicato: obbliga a mettere l’idea a confronto con i numeri. Vogliamo che i “ReStartAPPari” non siano piccoli eroi, che abbiano gli strumenti per fare impresa, non solo per iniziarla ma anche per reggere. A fine campus, i ragazzi tornano a casa e hanno un mese per mettere a punto il progetto. A quel punto ci consegnano il business plan finale. Oltre ai premi, offriamo anche un servizio di consulenza gratuita, su fisco, partecipazione a bandi, marketing, o corsi di perfezionamento, anche sulla caseificazione se serve.

Come misurate l’efficacia dell’iniziativa?

Restiamo in contatto con tutti i ragazzi che hanno partecipato all’esperienza, che ci considerano dei punti di riferimento, una “rete”. Ad oggi, 17 hanno iniziato a fatturare regolarmente: è un tasso di riuscita del 20%, che è significativo, soprattutto considerando che finora il campus ha intercettato aspiranti giovani imprenditori. Stiamo però immaginando di rivedere la forma di ReStartAPP, per renderlo un acceleratore più che un incubatore, e seguire imprese che già ci sono, non necessariamente under 35, ma con un potenziale di crescita.

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