«Resistenza», il bene comune anti-Trump
Ai confini della realtà Cosa fai stasera?». «Dalle 7 alle 9 ho un meeting della Resistenza». In tempi migliori, lo scambio avrebbe potrebbe illustrare una vignetta satirica su una coppia di liberal annoiati in […]
Ai confini della realtà Cosa fai stasera?». «Dalle 7 alle 9 ho un meeting della Resistenza». In tempi migliori, lo scambio avrebbe potrebbe illustrare una vignetta satirica su una coppia di liberal annoiati in […]
Cosa fai stasera?». «Dalle 7 alle 9 ho un meeting della Resistenza». In tempi migliori, lo scambio avrebbe potrebbe illustrare una vignetta satirica su una coppia di liberal annoiati in una striscia fumetto alla Doonesbury. Ma persino la sublime (auto)ironia di Garry Trudeau deve farsi da parte nell’era di Trump.
Resistenza è infatti la parola che qui ormai si usa comunemente per definire l’opposizione al presidente, alle sue politiche, ai suoi valori e (rubando la definizione usata da Nancy Pelosi per descrivere la riforma di legge sulla sanità presentata al Congresso in questi giorni) alla «mostruosità morale» che incarnano. #Resist and #Resistance sono infatti solo alcuni dei più seguiti tra i tantissimi aggregatori intorno a cui si raggruppano l’informazione e la chiamata alle armi dell’America anti-Trump. E «meeting della Resistenza» come quello a cui la mia amica Jessica si è recata martedì scorso tre le 7 e le 9 sono replicati in migliaia di case private e luoghi pubblici in cui cittadini si incontrano ormai regolarmente per discutere, organizzarsi e, in modo più subliminale, anche solo per sentire di star facendo qualcosa contro quello che sta succedendo.
In quel senso, questa resistenza è anche un istinto, una vocazione, un desiderio/bisogno di esprimere il dissenso che si trova spalmato a tantissimi livelli dell’immaginario e non – nelle opere scelte per l’ultima Biennale del Whitney Museum, inaugurata venerdì scorso, negli spot pubblicitari alla United Nations of Benetton, trasmessi durante la cerimonia degli Oscar, nell’ultimo spettacolo teatrale di David Byrne, nelle decine di petizioni che invadono quotidianamente la casella di posta elettronica (l’ultima per mettere un limite ai soldi pubblici usati per pagare i week end di Trump a Mar-a-Lago), e nelle piccole manifestazioni, quasi improvvisate, qua è là, a qualsiasi ora del giorno.
Dal punto di vista più strettamente organizzativo, «la Bibbia» della resistenza rimane probabilmente la Indivisible Guide, un documento di ventisei pagine compilato da un gruppo di ex impiegati del Congresso sulla base delle strategie impiegate a partire dal 2009 dal Tea Party. Ad oggi, più di seimila gruppi di attivisti locali sono registrati sul sito web della «guida», visitato da oltre dieci milioni di utenti. Il documento, downloadato più di un milione di volte, offre una lista di possibili iniziative individuali o di gruppo, suggerimenti per massimizzarne l’effetto ed è stato uno degli strumenti organizzativi più efficaci per ispirare le proteste contro la riforma sanitaria, nei town hall.
Sempre dal punto di vista strutturale, è di qualche giorno fa la notizia che la piattaforma Meetup, un social network fondato nel 2002 per facilitare la comunicazione tra gruppi e persone dagli interessi comuni, con un reach di circa 30 milioni di utenti, metterà ufficialmente a disposizione la sua infrastruttura per coordinare l’opposizione a Trump. «Quando si è oltrepassata una certa linea. Non starsene fermi diventa un dovere civico», ha dichiarato alla Associated Press Scott Heiferman, il CEO di Meetup.
A capo della nuova piattaforma per la mobilitazione delle forze anti-Trump, ideata con la collaborazione della National Domestic Workers Alliance, il sindacato dei lavoratori domestici, sarà Jesse Morales Rocketto, ex direttore del coordinamento digitale della campagna di Hillary Clinton. Meetup era parte di un incontro di circa 40 tech companies, avvenuto recentemente a New York, per strategizzare contro le politiche di Trump.
giuliadagnolovallan@gmail.com
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