Resistenza e abbandono dinanzi al dolore che tocca il fondo dell’esistenza
Scaffale «Capacità vitale», un romanzo di Francesca Scotti edito da Bompiani
Scaffale «Capacità vitale», un romanzo di Francesca Scotti edito da Bompiani
Capacità vitale è un titolo invitante, rimanda a una fine, a una sconfitta e subito alla possibilità di superarla, di non soccombere neanche di fronte alle situazioni più difficili dell’esistenza, le più dolorose. Nel romanzo di Francesca Scotti (Bompiani, pp. 208, euro 15,00), la capacità vitale è quella di Adele: un’avvocata che nella prima parte del romanzo si mostra «senza cuore», la tipica persona fredda che si è indurita, perché ha sofferto troppo e ha trovato allora il modo per non rimanere più ferita, chiudendosi e rifiutando gli altri, con tutto il carico di rischi che si portano appresso.
LEGGENDO questo romanzo, in cui pure ci sono dei colpi di scena, degli avvenimenti enormi che cambiano inevitabilmente il corso dell’esistenza della protagonista, mettendo a seria prova la sua capacità vitale, ci si rende conto di come anche la sopravvivenza agli avvenimenti più naturali e inevitabili della vita non sia poi così scontata. Come si riesce infatti a superare la trasformazione di una persona cara in qualcun altro che non è più riconoscibile? Attraverso il personaggio della nonna di Adele, Ines, anche in questo testo ci si trova di fronte all’irrisolvibile dell’Alzheimer. In questo caso Francesca Scotti dà voce alla rabbia inevitabile e soprattutto a come essa si accompagni sempre a qualcos’altro: «Ines prende una fetta di carne lasciando sulla tovaglia una scia oleosa. “A me piace più rosolata, non con tutto questo brodino” si lagna. Adele si affretta a tamponare la tovaglia: rabbia e tenerezza da togliere il fiato». In questo caso Adele insieme alla rabbia prova tenerezza, ma si può trattare di sensi di colpa o di nostalgia: il risultato è sempre una commistione di emozioni che fa venire voglia di «gridare senza farsi sentire».
INTERESSANTE anche la lettura che Francesca Scotti dà della capacità vitale non come resistenza, ma come abbandono. Viene spontaneo credere infatti che per continuare a vivere, per superare un lutto, per esempio, sia necessario resistere, farsi forza, ed è così. Ci sono anche delle cose che per continuare a vivere bisogna far decadere, però. È evidente, infatti, nel romanzo, che Adele riacquisisce la propria vitalità solo quando smette di essere in un determinato modo: indifferente, cinica, e si permette di perdere. Certo, nessun cambiamento profondo è possibile senza l’intervento, il sabotaggio o l’aiuto degli altri.
La capacità vitale risiede, allora, anche nel permettere alle persone amate e ai nuovi incontri di toccarci là dove fa più male e anche se sembra una conclusione un po’ banale, è un dato di fatto che la trasformazione profonda che ci impongono le relazioni se ha un pregio è la sua efficacia. Già, perché non ha molto senso interpretare il concetto di capacità vitale come viene proposto nelle storie a lieto fine, secondo uno schema binario, che prevede la sofferenza e poi la sua fine.
SE POTESSIMO leggere il seguito della vita di Adele vi incontreremmo altro dolore, per esempio. Ciò che può essere più significativo e realistico è comprendere che per superare il dolore bisogna sapersi trasformare, perché la vita questo fa, col tempo, ci modifica. Allora tanto vale non mettersi di traverso.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento