Leon Kennedy, trascorso da recluta a super agente sotto il controllo diretto della massima autorità statunitense dopo le pandemie zombie e mutanti di Racoon City, è spedito in una zona rurale imprecisata e assai poco plausibile della Spagna perché la figlia del presidente (lo stesso che in Resident Evil 6 diventerà uno zombie?) vi è scomparsa. Il nostro arriva, si fa largo tra orde di villici invasati e infetti, combatte giganti, soldati impazziti, un clero mostruoso, varia milizia abominevole, salva la fanciulla, sconfigge il male e si allontana al tramonto invece che a cavallo su un acquascooter. Alla luce di questa sintesi assai concisa ma indicativa, Resident Evil 4 può sembrare una parodia del cinema d’azione e horror, d’altronde il soggetto di nessun episodio della saga di Capcom ha mai scintillato in superficie, un territorio esteriore che sembrerebbe negare ogni profondità. Eppure c’è sempre qualcosa di complesso e di politico nei Resident Evil, idee e metafore filtrate dal cinema horror degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, quello di Carpenter, di Romero, di Hooper o di Craven. E Resident Evil 4 è uno degli episodi più profondi, più impegnati a denunciare con gli strumenti che gli competono, quelli dello spettacolo e del raccapriccio, le storture contemporanee, quelle che tanti ritengono sconfitte col le rivoluzioni di Francia e Russia, con il ’68, con il punk ma che permangono invece dissimulate con più o meno astuzia, mai ai margini, sempre al centro. Resident Evil 4 è infatti un’opera sulla mostruosità del potere, sullo sfruttamento aristocratico delle masse, su un nuovo medioevo dove operai e contadini sono ridotti ad abominevoli schiavi tramite la religione e una scienza funzionale.

Il remake totale ma rigoroso, lontano dall’originale quanto vicinissimo, di Resident Evil 4 è uscito per le nuove piattaforme, ridisegnando e solo raramente variando quella seminale opera dell’orrore avventuroso di Shinji Mikami, quasi una riflessione critica per ribadire ciò che rese fondamentale per il futuro elettro-ludico quel gioco del 2005. Il rifacimento non mantiene quella forza rivoluzionaria dell’originale, perché assorbita e resa convenzione dai tempi, ma risulta comunque un’opera potentissima, un terrificante parco giochi dove le intuizioni politiche e sociali prima latenti invece esplodono tramite una maggiore drammatizzazione degli eventi, un accento posto più sull’orrore che sul grottesco. Non cambia quella ritmica implacabile, che il remake solo raramente dilata nelle sue derive opzionali, sebbene anche queste risultino complesse, mai davvero rilassanti nella loro esplorazione, anzi talvolta più spaventose e impegnative perché le aree si ripopolano di nemici e le munizioni sono sempre scarse, così che temiamo di non proseguire nella storia principale. Quattro o cinque minuti di illusoria tranquillità poi ecco di nuovo l’inferno che credevamo superato e abbandonato, ancora anziane massaie indemoniate che ci scorgono chiamando l’orda, suoni minacciosi di motoseghe, energumeni mascherati con la testa decollata di tori, velocissimi cani dalle zanne abnormi, armature animate dalle quali spunta lo schifoso parassita, insetti…

Eccoci di nuovo a vagare per le case rotte di villaggi abitati da contadini ridotti a mostri assassini e ubbidienti, a penetrare tra le aule di un’immenso castello dove si muovono salmodianti monaci letali, a sbarcare su un isola-industria abitata da abominevoli soldati mutanti e da ributtanti esperimenti. Ma i mostri più spaventosi sono i nobili che hanno causato lo sfacelo, che hanno umiliato e offeso un popolo o il mercenario Krauser, un ex-militare americano con cui combatteremo una lunga, memorabile lotta che possiede una contorta epica alla Sekiro senza nessun codice Bushido a nobilitarla, invece sleale, malata, ignobile.

Conviene giocare Resident Evil 4 Remake, se avete consuetudine con il genere, nella modalità «estrema», dove ogni segmento è un sfida in un’esponenziale, ininterrotta lotta per la sopravvivenza, faticosa quanto esaltante perché l’odio che matura contro l’orrenda aristocrazia che domina queste terre diviene motivatore, costringe ad un virtuosismo necessario, frustrato dalla sconfitta ma che infine premia con un successo che esalta, come avviene negli (assai diversi) videogiochi sulla scia di Demon’s Souls.

Sempre coerente con l’immagine è il suono, altrettanto spaventoso, aberrante, una sinfonia rumoristica della minaccia e del disgusto di straordinaria composizione, che va oltre per potenza «musicale» alla colonna sonora vera e propria che comunque tace spesso proprio per esaltare il panorama sonoro.

L’unica macchia di una produzione assai riuscita nel riproporre un classico moderno, è la brutta aggiunta a posteriori di microtransazioni nell’espansione Mercenari, una sorta di competizione con classifica nella quale chi gioca deve sfidare flussi continui di orde di nemici. I Mercenari, attività scervellata ma divertente, è un’espansione gratuita ma vi è possibile acquistare potenziamenti, una prassi, quella delle microtransazioni sempre più diffusa e per questo ingannevole, scorretta, discriminante, sgradevole. Non ci sono invece microtransazioni nel gioco principale e se volete comprare un costosissimo lanciamissili per eliminare in un solo colpo il maledetto castellano sadico Ramon Salazar invece che disperare tentativo dopo tentativo, dovrete guadarvelo cercando ogni tesoro possibile nascosto nelle ambientazioni per venderlo al mercante.

Si arriva al finale quasi esausti, crescendo dopo crescendo, ma più che soddisfatti, protagonisti di una grandiosa avventura dello spavento. Poi cominciano i titoli di coda che hanno qualcosa di struggente, sottolineando il valore politico celato nello spettacolo di Resident Evil 4 Remake, vi vediamo scene di vita quotidiana di quelle terre, il suo popolo laborioso e non infelice, prima che osceni padroni che la storia avrebbe dovuto cancellare li trasformassero in mostri.

I miei mostri adorati (di Andrea Lanza)
Con Resident Evil 4 sottilmente si attua una rivoluzione, qualcosa di così epidermico, qualcosa di così invisibile da strisciare sotto la pelle e fare pasto del DNA del precedente, adorato modello.
Resident Evil 4, uscito in questo 2023, si ciba delle amate spoglie incancrenite del Resident Evil 2005, ne migliora la parte grafica come succedeva nell’incredibile Jason X di Jim Isaac, e ci riporta a quelle sensazioni provate ben 18 anni fa.

Resident Evil 4 che già si era fatto il lifting con le versioni HD, modeste, era un po’ come quelle signore della Berverly Hills alta, labbra a canotto, seni prosperosi e trucchi d’alta magia chirurgica. L’età è Dorian Gray, il sangue su un rasoio leccato da un Dracula orientale, qualcosa che puoi solo piangere, maledire e odiare. D’altronde per tutti il destino è solo nella cenere.
Ora Resident Evil 4 si muove con il rumore delle ossa stanche. Basta vedere i bozzetti dei vari personaggi, i mostri, il corollario generoso di bellezze lovecraftiane che si muove ora tra le strade spagnole di Valdelobos e poi più in là fino a toccare laghi e scenari da guerra urbana, macerie che non possono non riportare alla mente le fratricide guerre jugoslave.

Leon S. Kennedy affronta i Ganados, gli stessi Ganados del 2005, invecchiati, curvi, con i denti marci o ingialliti. Come se, e questo è un pensiero rivoluzionario, Leon S. Kennedy fosse il giocatore che ritorna al passato e il passato è mutato, ma non l’idea che noi ci siamo fatti del nostro io, del nostro eroe, che resta sempre in balìa della stessa «primavera di bellezza» degli inni dei giovani fascisti. I personaggi l’hanno atteso, aspettato e sono pronti a dargli il benvenuto senza paura delle imperfezioni estetiche della carne perché è proprio la carne che esplode, che si espande come un cancro impazzito quella cercata come «dono divino» dal capo degli Iluminados, Osmund Saddler, mentre bradisce un bastone vivente, pulsante splendida materia orribile.

Anche Ramon Salazar ha nella pelle il segno del tempo: nel 2005 l’avevamo incontrato e ucciso, ma nei giochi il Game over è relativo, come un nano, un giovane nano capriccioso e crudele. Ora sfoggia una parrucca che potrebbe ricordare gli incubi del Casanova di Fellini, si imbelletta con rossetto, è diventato vecchio ma grottescamente cerca di nasconderlo sotto quella cipria da morto vivente. Lui che dichiarava di avere 20 anni ora ne dimostra appunto 23 anni in più, almeno. Tornare a Resident Evil 4 è tornare anche ad affrontare quei mostri che sono restati ancorati al tempo, non mutandosi, in quanto perfetti, ma questa volta resi migliori dalla grafica.
Se fa tremare il cuore vedere un lupo bianco, squartato, con la zampa intrappolata in una tagliola, e il pensiero torna veloce al randagio che ci aveva aiutato contro un boss gigante, non si può non fare un sospiro di sollievo quando la bestiola appare poco dopo. Dopo, ci immaginiamo si lancerà alla ricerca della bella Fiona di Haunting Ground/Demento, altro gioco splendido Capcom. Quindi quel personaggio secondario, magari ignorato la prima volta, ora è un amico ritrovato, un amico che salutandoci ci commuove perché sappiamo che probabilmente questo Resident Evil 4 sarà il Resident Evil 4 definitivo.

AncheAshley, la bionda Ashley che dobbiamo liberare è sempre goffa, si butta in braccia a nemici con la consapevolezza frivola che sicuramente l’aiuteremo. Per assurdo però è anche questo che abbiamo cercato: le imperfezioni.

Resident Evil 4 è bellissimo perché ragiona sulla sua memoria storica. Per questo è una madeleine che si può giocare per la prima volta ma ancora meglio lo si fruisce quando il terreno è lo stesso vissuto anni e anni fa. D’altronde noi siamo gli eroi cresciuti con i survival horror che non avevano la visuale a 360 gradi, il dannato angolo cieco che nascondeva zombi e dinosauri.
Lucio Fulci scrisse nel 1995 una bellissima raccolta di racconti e saggi. Il titolo ben si adatta all’esperienza vissuta in questo nuovo gioco. Miei mostri adorati. Quanto ci sono mancati in questi 23 anni!