Reporter «attaccati». Ma Rabat nega tutto
Marocco Cosa hanno in comune Edwy Plenel, fondatore del sito d’inchiesta francese Mediapart, Eric Zemmour, giornalista di Le Figaro, Rosa Moussaoui giornalista de L’Humanité o Omar Radi, giornalista marocchino e fondatore […]
Marocco Cosa hanno in comune Edwy Plenel, fondatore del sito d’inchiesta francese Mediapart, Eric Zemmour, giornalista di Le Figaro, Rosa Moussaoui giornalista de L’Humanité o Omar Radi, giornalista marocchino e fondatore […]
Cosa hanno in comune Edwy Plenel, fondatore del sito d’inchiesta francese Mediapart, Eric Zemmour, giornalista di Le Figaro, Rosa Moussaoui giornalista de L’Humanité o Omar Radi, giornalista marocchino e fondatore del quotidiano Le Desk?
A prima vista niente, solo che tutti sono stati scelti come bersagli dai servizi segreti marocchini, in vista di una possibile infezione dei loro telefoni da parte del potente spyware Pegasus. Già lo scorso giugno 2020 Amnesty International aveva prodotto un report nel quale accusava i servizi marocchini di aver infettato lo smartphone del giornalista marocchino Omar Radi, attualmente in carcere con accuse di violenza sessuale e spionaggio, con attacchi di «network injection tra gennaio 2019 e gennaio 2020». Nel suo report Amnesty richiedeva «giustizia per i difensori dei diritti umani e per i giornalisti vittime di malware», visto che l’azienda israeliana Nso Group – società fondata nel 2010 da due ex militari israeliani – aveva fornito un software spia acquistato da diversi governi stranieri, tra cui il regno hashemita, che controllava oltre 50mila persone in numerosi paesi del mondo.
Secondo l’azienda il software è stato venduto «per aiutare alcuni governi a combattere il terrorismo, supportandoli con strumenti tecnologici legali ad affrontare questa minaccia», mentre secondo Amnesty e le rivelazioni del sito d’inchiesta Forbidden Stories l’azienda informatica israeliana avrebbe fornito strumenti per «spiare centinaia di oppositori e giornalisti in tutto il mondo».
Dal Messico all’India passando per Ungheria, Arabia Saudita e Marocco, Pegasus avrebbe permesso di sottrarre tutti i dati contenuti nei telefoni dei soggetti presi di mira attraverso falle nei sistemi di Apple e Google, visto che già lo scorso maggio Whatsapp aveva accusato il gruppo di sfruttare una falla di sicurezza nella sua app per installare lo spyware.
Difetti sfruttati a danno di quasi «180 giornalisti in tutto il mondo», secondo il sito d’inchiesta, le cui rivelazioni sono riprese in questi giorni dalla stampa internazionale. Il quotidiano francese Le Monde, in particolare, riporta che diversi giornalisti marocchini indipendenti sono stati selezionati come «potenziali obiettivi» da questo spyware, insieme ad una trentina di giornalisti dei media francesi (Le Monde, Le Figaro, Afp, France Televisions, RFI e France 24) «per estrarre dalle loro rubriche i numeri di altri obiettivi».
Notizie che confermano il recente appello lanciato da Human Rights Watch (Hrw), Amnesty International (Ai) e Reporters sans Frontières (Rsf) riguardo alla «pratica utilizzata da Rabat per mettere a tacere la stampa indipendente», con decine di giornalisti arrestati, attraverso l’utilizzo della «stampa diffamatoria» e la pubblicazione di informazioni, spesso relative a questioni morali, fornite dai servizi di sicurezza anche attraverso Pegasus.
«Negli ultimi anni, con i social in particolare, il regime ha capito che non poteva più “trattenere” i giornalisti allo stesso modo emettendo multe e con questo programma di controllo è riuscito a creare artificialmente accuse e prove fittizie» ha dichiarato su Twitter, Ali Lmrabet, giornalista indipendente, incarcerato più volte in Marocco, e corrispondente di El Mundo.
Oltre al caso di Omar Radi, c’è quello di Soulaimane Raissouni, giornalista marocchino di 49 anni editorialista e redattore capo del quotidiano Akhbar Al Yaoum, accusato di «aggressione e violenza a un uomo» nel 2018, a seguito di un post anonimo su Facebook. Nonostante la totale mancanza di prove, Raissouni è stato condannato il 10 luglio a cinque anni di carcere e, secondo Rsf ,«la sua vita è in serio pericolo» a causa delle violenze subite nelle carceri marocchine e del suo sciopero della fame che dura da 4 mesi.
«Non direi nemmeno che sono scioccato, perché in un regime autoritario tali pratiche non sorprendono – afferma Lmrabet – d’altra parte, mi rattrista per il giornalismo visto che, in un paese come il Marocco, libertà e indipendenza hanno un prezzo alto. Quando vuoi fare questo lavoro, sei consapevole che devi pagare questo prezzo quasi quotidianamente».
Attraverso la sua ambasciata a Parigi, le autorità marocchine hanno dichiarato di «aver già negato le accuse infondate di spionaggio del giornalista Omar Radi un anno fa». Secondo Rabat, Amnesty International e Forbidden Stories «non sono state in grado di provare alcuna relazione concreta tra il Marocco e la società israeliana Nso Group».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento