Reportage interiore dall’amore perduto
Scaffale «I dieci passi dell’addio» di Luigi Nacci, per Einaudi. Brevi capitoli e frasi spezzate per dire ciò che cambia nel quotidiano di una coppia in crisi
Scaffale «I dieci passi dell’addio» di Luigi Nacci, per Einaudi. Brevi capitoli e frasi spezzate per dire ciò che cambia nel quotidiano di una coppia in crisi
È un teatro di oggetti la fine di un amore che racconta Luigi Nacci ne I dieci passi dell’addio (Einaudi, pp. 111, euro 16), lo scenario domestico dove l’io narrante osserva la vita in assenza nelle stanze ormai diventate solo ricordi laceranti, dimore memoriali perturbanti, squarci che si aprono all’improvviso nella coscienza inquieta.
LA CASA ALLORA DIVENTA la prigione dei ricordi, della bellezza e della grazia miracolosa che adesso non ci sono più, perché «nessun essere umano dovrebbe vivere in una casa senza amore», poiché, «le stanze di una casa dove c’è stato un grande amore ricordano tutto». La casa adesso è fatta di stanze poetiche, c’è «la stanza delle carezze e dei coltelli», una diventa addirittura «la masseria delle tristezze», mentre la cucina che una volta era «il perfetto palcoscenico dell’amore», adesso è il luogo dove gli utensili fanno un piccolo processo al reo io narrante, il «barbaro» che ha distrutto l’amore invaghendosi di un’altra.
Quello che prevale è l’aspetto confessionale, il districarsi di un affollato dilemma interiore fatto sì di ricordi, ma anche di ipotesi, del calcolo a posteriori di errori compiuti, di destini incrociati, mentre lei non c’è più, se ne è andata, «ha portato via i vestiti, i libri, cinque pentole, tre peluche, un’icona sacra». Lei che «viveva nei dintorni della verità». Quando un amore muore, muore anche un mondo, si estingue persino una lingua irripetibile, ci dice Nacci, «è una lingua unica: ha solo due parlanti e muore quando la coppia finisce». Muore una geografia di luoghi frequentati, sparisce per sempre anche la colonna sonora delle molte canzoni cantate.
Forse un libro come questo ci dice che oggi le narrazioni più interessanti, quelle più coinvolgenti, non sono romanzi, o meglio lo sono senza un intreccio organizzato, artatamente fatto d’invenzione, ma hanno una tramatura caotica, ondivaga come quelle delle vite vissute «a zig zag»; semplicemente racconti che emergono dal caos cercando di ricomporre un ordine del discorso, di dare una forma al magma gigantesco delle azioni compiute, delle cose pensate, dei libri letti, dei film guardati insieme, dei pasti condivisi. Come accade in questo libro organizzato intorno ai giorni che precedono l’appuntamento con il notaio, fissato prima del Bing bang amoroso.
Un libro che racconta il miracolo, il potenziale rivoluzionario dell’amore, ma anche la sua assoluta precarietà nel tempo, un sentimento dirompente e sconosciuto che arriva all’improvviso scombinando tutti i piani, i punti di vista, ma che, come è arrivato, può finire in un attimo, anche quando sembrava impossibile. L’amore, come i sessi, è il motore della storia, quello della vita, «è dappertutto. È infinito. È incomprensibile, quando entra in noi e ci pervade non capiamo più niente». Così come è forte la sua precarietà, il suo nascere e svilupparsi come un sentimento che porta già in sé il seme doloroso della fine, «credo che tutti gli abbracci abbiano già in sé il germe dell’addio», scrive in un passo l’autore. A volte, al contrario, dopo un addio si è spinti a pensare disperati che l’amore è invincibile, tornerà.
Questo reportage interiore o diario intimo, composto di brevi capitoli e scritto con una lingua fatta di frasi brevi, spezzate, sospesa tra lirismo e descrizione oggettiva di ambienti e scene della quotidianità, è una confessione ma anche un saggio sull’amore perduto, un trattato sulle relazioni umane nella vita di coppia e di adulti, e infine un memoriale in pubblico, dialettico, aperto come una ferita. Ma è anche un libro sapienziale, aforistico, fatto di pensieri organizzati, compiuti come questo: «Ci sono storie d’amore che si consumano come candele, altre che muoiono di morte violenta. Chi uccide una storia d’amore non va in carcere. La sua condanna è il senso di colpa».
QUESTA è la sua componente dissertativa e saggistica, che si unisce a quella narrativa, una indagine sui rapporti amorosi, sulla perdita, sui passi dolorosi che dobbiamo fare per affrontare l’abisso vertiginoso dell’addio. Quei passi interiori non troppo diversi da quelli terrestri che l’autore ha teorizzato e scritto nei suoi reportage en plain air in molte parti del mondo, in quella Viandanza (Laterza, 2016) dove è necessario perdersi, avventurarsi, e insieme ritrovarsi dentro e fuori di sé.
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