Renzi si è detto stupito. I motivi dello sciopero generale indetto dai sindacati della scuola Flc-Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals e Gilda per martedì 5 maggio sarebbero «incomprensibili» a suo avviso. «Mi fa ridere, se non fosse una cosa triste, il fatto che si proponga di scioperare contro un governo che sta assumendo 100mila insegnanti. Il più grande investimento fatto da un governo nella scuola italiana», ha ribadito ieri su radio Rtl 102.5.

Il disegno di legge n. 2994, detto anche «Buona scuola», viene così descritto dal Presidente del Consiglio: «Diamo più soldi agli insegnanti con la carta sulla formazione, più soldi per l’edilizia scolastica. Ma in cambio di questo chiediamo qualche modifica al sistema organizzativo della scuola, con un po’ meno burocrazia. Non mi si dica che si fa sciopero contro il primo governo che elimina i precari dalla scuola. Se fanno sciopero contro di noi che abbiamo fatto queste cose, contro quelli di prima che non facevano niente, che fanno?», ha concluso il premier. Ad esempio uno sciopero generale contro la riforma Gelmini, datato 2008, l’ultima volta che i sindacati maggiori della scuola sono scesi in piazza in maniera unitaria.

La strategia di Renzi è contrapporre famiglie e studenti ai sindacati che «hanno paura che gli portiamo via il diritto di decidere come vogliono». Su questa base ha promesso un’«intensa campagna di comunicazione» per dimostrare che la trasformazione del preside in manager con potere di assumere, attribuire meriti e aumentare gli stipendi ai 100.701 docenti precari assunti a settembre è un «progetto rivoluzionario», non una norma anti-costituzionale. Una campagna che – si scopre dopo la riunione pomeridiana al Nazareno del Pd – avrà al centro una lettera che Renzi scriverà a tutti i docenti italiani per illustrare loro la riforma.

«Si può ben comprendere come gli serva una campagna di comunicazione – ironizza Francesco Scrima (Cisl scuola) – le versioni che ne ha proposto sono diverse, spesso stravaganti».
Il governo, conviene ricordarlo, che è stato già sconfitto in occasione della consultazione online sulla «Buona scuola». Per l’esecutivo, e per il Pd, si è trattato di uno smacco. Il 60% dei docenti ha respinto la «riforma meritocratica che aboliva gli scatti stipendiali basati sull’anzianità a favore degli «scatti di competenza». Un risultato che ha costretto il governo a fare marcia indietro.

Oggi la protesta si rivolge contro l’altro pilastro di una riforma aziendalista e autoritaria – il preside-manager e la chiamata diretta dei docenti – destinata a modificare definitivamente l’ispirazione pubblica dell’istruzione, completando l’autonomia voluta dal centro-sinistra di Luigi Berlinguer sin dal 2000. La mobilitazione sembra davvero generale. Il 24 aprile scioperano Anief, Unicobas e Usb. La Cub rilancia l’astensione contro le prove Invalsi del 5, 6 e 12. I Cobas confermano lo sciopero del 6 maggio. Gli studenti dell’Uds saranno in piazza il 5 insieme a Link e Rete della Conoscenza e boicotterrano i test Invalsi il 12 maggio e contribuiranno al blocco degli scrutini.

I sindacati non contestano le assunzioni, ma la loro modalità, la quantità e il sistema in cui i docenti verranno a trovarsi una volta assunti. I sindacati di base chiedono anche il ritiro del Ddl. La piattaforma dello sciopero prevede lo stralcio delle assunzioni dei precari dal Ddl, emendamenti radicali al provvedimento; la cancellazione dell’articolo 12 del Ddl che vieta le supplenze oltre i 36 mesi come richiesto dalla Corte di giustizia Ue e dunque il licenziamento di questi docenti.

La riforma, con ogni probabilità. passerà. Bisognerà però vedere come. Molto dipende dai 1800 emendamenti (Forza Italia: 250, Cinque Stelle: 650; Sel 200; Pd: 150 tra gli altri). E, forse, dal dibattito nel Pd. Su questo la riunione di ieri pomeriggio sembra aver cambiato poco. Nonostante l’impegno di Stefano Fassina, presente alla manifestazione dei sindacati di sabato, il Pd va avanti: niente emendamenti sostanziali e approvazione nei tempi ipotizzati (prima lettura alla Camera entro il 10 maggio, poi esame al Senato e terza lettura a Montecitorio in tempi brevi). Possibile invece una modifica ai nuovi poteri del preside, che potrebbero essere mitigati con un ruolo più forte del Consiglio di istituto. Al preside, sottolineano fonti Pd, sarebbe comunque lasciata la possibilità di assumere decisioni organizzative.