Renzi, tentazione Lorenzago
Riforme Per tenere stretto Berlusconi, il presidente del Consiglio pensa di allargare il campo delle riforme al premierato. Ma è in difficoltà con le bozze sul nuovo senato mentre si apre il fronte Pd sul pareggio di bilancio
Riforme Per tenere stretto Berlusconi, il presidente del Consiglio pensa di allargare il campo delle riforme al premierato. Ma è in difficoltà con le bozze sul nuovo senato mentre si apre il fronte Pd sul pareggio di bilancio
A dare credito agli annunci di Matteo Renzi, il disegno di legge costituzionale che vuole chiudere con il bicameralismo paritario sarebbe dovuto arrivare in parlamento un mese e mezzo fa. Ieri sera alla camera è arrivato invece il presidente del Consiglio in persona, per cercare di guadagnare il via libera di deputati e senatori del suo partito alla sua ultima bozza di riforma. Che nel frattempo non è più quella che aveva fatto votare dalla direzione del Pd, e nemmeno quella che ha annunciato da palazzo Chigi nel famoso pomeriggio delle slides.
È cambiato il nome della seconda camera, recuperando la parola senato che in fondo su queste sponde ha i suoi duemila e ottocento anni di storia. È cambiato il numero dei senatori, che restano non elettivi ma adesso saranno scelti in proporzione al numero degli abitanti della regione di provenienza (come chiedeva l’associazione dei presidenti di regione ma non quella dei consiglieri regionali, perché in Italia c’è anche questa). Sparisce sepolto dalle critiche il «partito del presidente», cioè quel gruppo di 21 che doveva essere nominato direttamente dal capo dello stato. Resta aperta la questione delle competenze: pacifico che il «senato delle autonomie» non darà la fiducia al governo, è stato allargato l’elenco delle materie sulle quali i senatori potranno esprimersi, fino alle leggi di bilancio. La camera avrà sempre (a maggioranza assoluta) l’ultima parola, la confusione è dietro l’angolo. Ma non è domata la fronda interna alla maggioranza di governo che vuole recuperare l’elettività dei senatori: oggi si riuniscono quelli del Nuovo centrodestra che sono su questa linea, ma non sono pochi i senatori del Pd orientati allo stesso modo.
In definitiva la serie mutevole di bozze redatte dai ministri Del Rio e Boschi e vidimate da Renzi non ha fatto fare un solo passo in avanti al progetto di riformare il bicameralismo italiano. Le difficoltà per il presidente del Consiglio restano tutte, e il fatto che il via libera alla riforma al senato deve precedere l’esame del contestatissimo Italicum (ma Forza Italia non è d’accordo) non aiuta.
Non solo. Per tenere legato Silvio Berlusconi all’alleanza per le riforme – i suoi 60 senatori sono decisivi per superare lo scoglio della revisione costituzionale, ma il Cavaliere è in fase di grande ripensamento rispetto al patto sottoscritto per l’Italicum – Renzi ha pensato di accogliere la richiesta di ritoccare anche i poteri del presidente del Consiglio. Per aumentarli naturalmente, non inventando nulla rispetto alle «novità» di diciassette e nove anni fa contenute tanto nei lavori della bicamerale D’Alema quanto nella famigerata «Costituzione di Lorenzago». Il premier renziano otterrebbe in prima persona la fiducia della camera, così da poter licenziare senza problemi i suoi ministri (secondo molti costituzionalisti può già farlo); peccato che resti fuori l’unico strumento utile introdotto allora, la sfiducia costruttiva.
Se allargare il campo delle riforme può favorire una soluzione, apre immediatamente altri problemi. Innanzitutto in casa Pd, dove non tutti sono schierati come Berlusconi e Renzi per il premierato forte – un premier, ricordiamolo, che avrebbe la fiducia di una sola camera, eletta con una legge ultra maggioritaria. E aprendo le porte agli emendamenti fuori tema rispetto al bicameralismo, si crea lo spazio per altre battaglie politiche. Come quella della minoranza Pd che vuole modificare l’articolo 81 della Costituzione, cambiato solo due anni fa per introdurre l’obbligo del pareggio di bilancio. Si intesta l’emendamento Stefano Fassina, che propone di consentire allo stato di spendere anche in debito per gli investimenti: «Il rigore e la crescita oggi sono alternativi». In materia di bilancio i ripensamenti nel Pd non sono pochi, si vedrà se Renzi che ha criticato l’austerità europea sarà conseguente in Italia.
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